di Alessandro Mainini
**WARNING**
Prima di scriverci adirati, date un’occhiata a cosa sono le “recensioni al buio”!
Il tipo di Jesi ha pubblicato un album. E quando dico “Il tipo di Jesi”, non intendo “un tipo di Jesi”, ma proprio quello specifico. L’indie italiano, si sa, si è sbizzarrito a trovare i nomi più balzani per i vari progetti (citerei i Management del dolore post-operatorio come caso emblematico di nome strano/hipster/fastidio/urticaria). Tommaso Sampaolesi, detto Il tipo di Jesi che fa anche rima, non è certo un’eccezione, ma il nome che si è scelto è più un nome scanzonato e senza troppe pretese, quasi a voler dire di essere un ragazzo qualunque, uno come noi.
Pranzo rock in via Trieste è il nome del suo album d’esordio, in cui l’artista “soffre e allo stesso tempo si compiace del calore e dello squallore della provincia.” Ci raccontano anche che Tommaso “guarda al pop e non viene ricambiato del tutto, quindi si arrende di fatto all’abbraccio freddo e rassicurante di un indie a tratti rumoroso.” Con una descrizione del genere, potrebbe essere tanto l’artista più fastidioso della scena indie contemporanea, quanto un piccolo genio musicale, ma siccome lo scopo di questa rubrica è quello di non avere pregiudizi, premo play con la mente libera.
Le prime due canzoni del disco ci offrono due lati differenti dell’artista: nella prima, che è la title track, si percepiscono chiari accenni all’indie d’oltremanica, con un curioso switch linguistico nel ritornello che è cantato in inglese; nella seconda, dal bizzarro titolo Masturnazione, Il tipo di Jesi dà spunti molto più rock specialmente nel chorus, mentre le strofe lasciano ampio spazio al cantato che va a toccare temi semipoliticizzati.
Un ulteriore stravolgimento di sound ci introduce a In fondo al letto, che infatti è una canzone acustica. Le semplici melodie di chitarra pongono in evidenza il testo un po’ strappalacrime tipico di una breakup song. Lo stesso tema viene ripreso in La canzone col piano, che è caratterizzata, guarda un po’, dall’assenza di una qualsivoglia nota di piano. Il sound può ricordare un po’ quello dei brani più movimentati di Pedro the Lion, e nel testo appare quella che è finora la miglior citazione dell’album: “Per stringerci le mani, dovremmo escludere quello che è intorno a noi.”
Siccome al Tipo di Jesi piace variare, Il fiume nella pancia si apre con un riff molto Kasabian, anche se poi i synth salgono in cattedra fra il nostalgico e l’epicheggiante. Questa diversità fra le canzoni del disco è sicuramente un punto a favore della godibilità generale del lavoro, perché finora l’ascolto risulta leggero senza stancare.
Via Trieste ritorna anche nel testo della sesta traccia, intitolata Tione, la nebbia, le montagne, tu. Tione, ci dice Google, è un paesello in provincia di Trento, e mi sento un po’ ignorante perché non lo sapevo. Il sound fa pendant con il titolo, perché è una canzone che si potrebbe ascoltare mentre si è immersi nella nebbia grazie al suo ritmo lento e riflessivo, ma sotto sotto trovo anche qualche riferimento al folk/country d’importazione americana. Proprio l’esatto contrario di tutto quello che rappresenta Tutto a posto a Land’s End, una vera e propria traccia punk dal ritmo sfrenato e dal testo arrabbiato che si chiude dopo poco più di due minuti. Saranno i miei gusti, ma se devo scegliere una canzone da ascoltare pesco proprio questa.
Il Caos a colazione non sembra essere un alimento molto nutriente per il primo pasto della giornata, ma è ugualmente il titolo dell’ottava traccia del disco. La si potrebbe vedere come una sorta di dedica “odi et amo” rivolta alla città di Jesi, da cui tutti fuggono ma dove forse un giorno ognuno farà ritorno. Il sound è un alternative rock con qualche stacco quasi punk che la rende trascinante… e ancora una volta diametralmente opposta allo stile della traccia successiva, la closing track Mi piace quando piove e non c’è rifugio –sicuramente il titolo dell’anno. Il testo, messo in primo piano e accompagnato da una chitarra in sottofondo, scorre come una filastrocca dal sapore decisamente pop italiano (quello bello però, non quello da San Remo).
Pranzo rock in via Trieste è in parte quello che prometteva di essere, ovvero un disco indie che ha provato a essere pop ma che non trovando sbocchi si è incazzato esprimendo tutta la propria forza rock. In parte è però anche una sorpresa, perché il cambio continuo di sound fra una canzone e l’altra tiene viva l’attenzione dell’ascoltatore e dimostra una voglia di ricerca artistica che non si limita a restare confinata nella propria comfort zone. Un disco da ascoltare un giorno che ti senti deluso dal mondo e invece di gridare la tua rabbia ti chiudi nelle riflessioni più intime.