di Chiara Cislaghi, Denise Pedicillo, Giorgio Molfese, Ilaria Collautti, Michela Rognoni, Rita Vitiello e Sara Cavazzini
Per il quarto anno di fila, rieccoci in terra britannica per partecipare alla grande festa dello Slam Dunk South. Una giornata, sette palchi, millemila band.
Quest anno line up eccezionale soprattutto per noi che amiamo tornare adolescenti con gruppi come Yellowcard, The Rocket Summer e – udite udite – The Starting Line!
Ed era anche il compleanno di Penny!
Moose Blood – Sara
A differenza degli altri anni, stavolta il festival si apre con file chilometriche all’ingresso che purtroppo significano l’entrata a festival già cominciato.
Visto l’avanzare della nostra età, il primo bisogno, varcate le porte, è andare in bagno. Per fare ciò si passa dal Main Stage dove i Moose Blood, che già sentivamo in lontananza dalla fila, stanno suonando “Bukowski” e mi pare di intravedere una strana frangetta di Eddy che speravo fosse solo una svista. Purtroppo la frangetta c’era davvero, ma per fortuna i feels mi sommergono e me ne fanno dimenticare.
Riesco a vedere solo quattro delle otto canzoni della setlist, I hope you’re miserable, Boston, Pups e Gum, ma bastano per farmi sentire già eccessivamente emotivamente provata a giornata appena iniziata.
Blood Youth – Penny
Quest’anno inizio il festival andando a vedere un gruppo hardcore sul Kerrang! Fresh Blood stage, uno dei palchi in cui passerò più tempo.
La band è carichissima e propone una buona mezz’oretta di brani veloci tratti dai loro EP “Inside My Head” e l’ultimo “Closure”. I presenti sono presi benissimo, persino più di me che nella prima mezz’ora avevo già bevuto tre Desperados, e si agitano e pogano sulle hit “Mood Swing” e “Piece By Piece” solo per citarne alcune, fino a concludere con “Failure”.
The JB Conspiracy – Chelli
Questa edizione del festival ha deciso di metterci in difficoltà già dall’ una e mezza di pomeriggio: Moose Blood o Blood Youth? Avevamo studiato varie strategie per aiutarci nella scelta, ma il bisogno più impellente a bracciale allacciato, era quello di usare il bagno.
Fato vuole che per andare in bagno si passi davanti al Desperados Stage e chi mi conosce sa che nonostante io odi profondamente la musica ska, inspiegabilmente ad ogni Slam Dunk quel palco mi attira come una calamita. E cosí tra i due blood, io e Chiara ci ritroviamo a scegliere i JB Conspiracy.
C’erano le trombe, c’era la festa, I regret nothing.
The Word Alive – Sara
La mia decisione su come proseguire il festival è stata dettata da un fortissimo senso di colpa: i The Word Alive sono da poco passati in Italia, ma il destino ha voluto che il loro concerto fosse lo stesso giorno di quello dei Simple Plan, e chiaramente io ho preferito andare a fare la dodicenne invece che vedere loro.
Essendo una delle prime band ad esibirsi, anche il loro set è molto breve e nonostante il pubblico non fosse così vasto come per le band che li avrebbero seguiti, sono stati un ottimo riscaldamento.
Dopo “Lighthouse”, che è la mia all time favourite, abbandono il palco per riuscire a vedere almeno metà del set degli Young Guns.
Young Guns – Sara
La storia con gli Young Guns è lunga: da quando vendevano i loro cd fuori dai concerti degli All Time Low ormai sono passati cinque anni, e da quasi quattro non li vedevo, quindi era d’obbligo sacrificare un paio di canzoni della band precedente per loro.
A questo punto della giornata iniziano a palesarsi i problemi di suoni del Main Stage riassumibili in un “si sente tutto una merda”. Nonostante questo riesco a godermi la maggior parte del set, nel quale è stato anche suonato il nuovo singolo “Bulletproof”, uscito un paio di giorni fa, e io nemmeno l’avevo capito.
Il momento in cui di fila propongono “Winter Kiss” e “Brother In Arms” ho sentito forte e chiaro il tentativo della mia vita di abbandonare il mio corpo, ma son riuscita a farcela. Prima di chiudere mi sento in dovere di fare una considerazione poco professionale e che probabilmente interessa a poche persone: gli Young Guns sono sempre fighi da paura.
Roam – Ria
Dopo aver tenuto la pipì durante l’infinita fila e il set dei Moose Blood decidiamo di fare la pausa bagno prima dell’inizio del set dei Roam; arriviamo al The Key Stage a set ormai iniziato sulle note di “All The Same”.
Il pubblico apprezza la loro perfomance e in varie occasioni, alcune volte anche incitati dalla band stessa, vengono creati circle pit e i soliti crowd surfini che non possono mai mancare. Si prosegue con altre canzoni e il breve set si conclude con il primo singolo estratto da “Backbone” ovvero “Deadweight” che per questa occasione vede anche la partecipazione di Matt Wilson (Set Your Goals).
Come al solito i Roam si sono dimostrati bravi e simpatici.
With Confidence – Chelli
Dopo la parentesi ska, torno in me stessa e comincio a seguire i miei piani (fissati dalla fine di aprile probabilmente) e salgo le mille scale verso quel buco di culo del Kerrang! Fresh Blood Stage che sembrano le 24 ore di buio dei paesi nordici.
Salgono sul palco gli australiani With Confidence che avevo ascoltato distrattamente prima del festival e mi erano sembrati ok.
Quando iniziano – a parte che scopro di sapere tutti i ritornelli e questo è già un punto a favore – il pubblico impazzisce: Jayden dice di saltare e tutti saltano, soprattutto il papà che stava davanti a me. Sono solo le 2 ma sono già sicura che si tratti di uno degli highlight della giornata.
Set molto intenso, band perfetta sul palco; menzione d’onore per le armonizzazioni, per l’atteggiamento della band, modesta ma consapevole, e per il pubblico che da il meglio di sé con un circle pit su “Godzilla”, canzone non esattamente indicata per i circle pit.
Hit The Lights – Sara
Rispetto agli anni passati ho passato molto meno tempo al palco pop punk, un po’ perché il pop punk ha rotto le palle, un po’ perché quest’anno c’erano meno band che mi piacciono del solito.
Le mie scappate a questo palco sono state tutto per band ‘vecchie’ per vecchi come me, la prima delle quali è stata per gli Hit The Lights, che, nonostante non abbiano deliziato il pubblico con il singalong “inoaiodersafaioooo”, hanno fatto bene il loro; setlist discutibile, esecuzione buona.
Dell’ultimo album “Summer Bones” propongono alcune delle canzoni meno convincenti, ma insomma ad una band che apre il set con “Stay Out” e conclude con la tripletta “Three Oh Nine – Drop The Girl – Bodybag” io non credo di aver molto da rimproverare.
L’unica vera grande mancanza sono le canzoni di “Invicta”, album che apparentemente piace solo a me.
Chunk! No, Captain Chunk! – Gio
Dopo essermi goduto il set davvero ottimo dei With Confidence, corro a perdifiato verso l’Impericon Stage dove i miei francesini preferiti stanno per salire sul palco. Guadagno la front row e dopo pochi minuti i Chunk! No, Captain Chunk! salgono sul palco. La sala è piena e in circa 6 secondi la folla è in delirio. La tripletta iniziale “Haters Gonna Hate” – “Playing Dead” – “Taking Chances” non può che far perdere respiro, voce, testa e quant’altro al sottoscritto ma anche a tutti i presenti.
Il set continua allegrissimamente, tutti saltano, Bertrand che sale sulle transenne per “All Star”, “The Other Line” live gasa tantissimo ma il vero highlight del set è quando Jordan Brown sul palco durante “Pull You Under” per un featuring tutto feels Set your Goals + Chunk! No, Captain Chunk!.
Ci salutano con “Restart” e la classicissima “In Friends We Trust”, tanta roba davvero! As always…
Waterparks – Chelli
Resto immobile ad aspettare i Waterparks.
Faccio fatica a capire se sia finito o meno il soundcheck, sia perché Awsten sta mostrando la foto di un gatto sul suo telefonino, sia perché la voce non si sente come dovrebbe.
Il set è una festa, le canzoni un po’ Myspace-era prendono tutti e la band si muove bene sul palco tra saltelli e girotondi solo che Awsten, diciamo, ha la tendenza a raccontare un po’ troppi aneddoti… divertente, ma tagliandone un po’ si avrebbe avuto il tempo per una canzone in piú.
“Pink” anche dal vivo si dimostra la canzone più festa di sempre.
Astroid Boys– Ria
Il Grande Gabe come al solito vede e provvede e grazie a lui riesco a fare un salto a vedere la band per la quale ho deciso di andare allo Slam Dunk: gli Astroid Boys. Ovviamente anche qua arrivo a set iniziato ma non importa perché è comunque tutto una grande festa.
Tutto molto a caso e tutto molto bello, ballare sulle loro canzoni è stupendo soprattutto se poi dietro di te ci sono le persone che ti guardano male.
Astroid Boys forever siete i miei preferiti vi amo.
As It Is – Ila
Reduce dal set degli Hit The Lights, mantengo il mio posto al Key Club Stage per godermi una delle band che attendevo con più ansia, gli inglesi As It Is (che salgono sul palco accompagnati dalla voce di Gwen Stefani in “Hollaback girl”).
Setlist perfetta che comprende tutti i migliori pezzi, sia dell’album di debutto Never Happy, Ever After che dell’EP This Mind Of Mine, incluso anche il nuovo singolo “Winter’s Weather” – per un totale di 9 brani.
La band è carichissima e si nota fin da subito l’enorme miglioramento della performance rispetto alla data italiana dello scorso anno, che di certo non aveva convinto tutti; divertente anche l’invasione di palco dei ROAM, che si sono prestati per un featuring nel bridge di “Cheap Shots & Setbacks”.
Musicalmente molto più precisi e più piacevoli da ascoltare, ma la presenza scenica rimane ancora tutta nelle mani del felicissimo frontman Patty Walters, che tra salti e lanci di microfono non sta fermo un secondo e conquista il palco.
We Came As Romans – Sara
Anche quest’anno ho portato avanti la tradizione di guardare la maggior parte delle band da sola perché son cose che piacciono solo a me.
Torno al palco ‘cattivo’ per una di quelle band che mi strappa l’anima e che ringraziando l’altissimo Gabe potrò rivedere presto anche in Italia: sto parlando dei We Came As Romans.
Non è segreto che io ritenga il loro nuovo album quasi del tutto spazzatura, ma avendo sbirciato le setlist dei giorni precedenti sapevo che non mi sarebbe andata troppo male, infatti del self-titled suonano solo “Regenerate”,“ Who Will Pray” e “The World I Used To Know”, manca purtroppo l’ultimo singolo “Memories”, che è una delle poche canzoni dell’album che mi piace.
Il resto della (purtroppo breve) setlist è composta interamente da pezzi tratti da Tracing Back Roots: “Fade Away”,” Ghosts”, “Tracing Back Roots” e “Hope”, con la quale il set, buono ma con qualche pecca vocale di Kyle, si chiude.
Yellowcard – Gio
Chi me lo doveva dire che avrei assistito al live dedicato interamente ad Ocean Avenue? Arrivo al Main Stage all’inizio del set degli Yellowcard (che alla batteria hanno un ospite d’eccezione, Rob Chianelli dei We Are The In Crowd) e noto con piacere che è presente praticamente tutto lo staff di Aim A Trabolmeicher!
Cosa c’è da dire, abbiamo visto poco data la quantità di gente davanti al palco, ma i feels li abbiamo sentiti tutti. Da “Ocean Avenue” a “Only One”, da “Empty Apartment” a “View From Heaven”, da “Life Of A Salesman” a “One Year Six Month” e così via.
Il live è qualitativamente buono, l’acustica non perfetta.
Tra video illegali e occhi lucidi comincio ad avviarmi verso il Key Club Stage dove a minuti avrebbero iniziato i The Starting Line, che almeno dal mio punto di vista erano imperdibili. Seguiti dai Set Your Goals tra l’altro. Mica potete sbattermi in faccia la mia adolescenza così però eh.
Real Friends – Chiara e Ria
Onestamente chissenefrega se gli Yellowcard fanno tutto Ocean Avenue, a noi interessavano i Real Friends perché vogliamo i veri pop punk emo feels (che non è una canzone di McLars).
Siccome io, a differenza di Rita, sono anziana, sono arrivata a metà set e sono salita sulla balcony, per godermi il concerto dall’alto e nella comodità assoluta.
Come ha detto Chiara “chissenefrega se gli Yellowcard fanno Ocean Avenue” io mi piazzo in prima fila per i Real Friends perché bisogna piangere per bene qua. Dan purtroppo è senza voce e appena finita “Late Nights In My Car” si scusa col pubblico ma sinceramente poco ci importa perché le voci del pubblico quasi sovrastavano la sua in qualunque caso.
Set pieno di energia e di feels, e questi sono stati davvero troppi ultimi erano davvero troppi. I musicanti hanno suonato bene e Dan ha spaccato nonostante sembri sempre un ragazzino delle medie degli anni ‘90.
In scaletta sono previste anche le ultime canzoni dell’album uscito appena 1 settimana fa, noi tru poppunkkids già sappiamo tutte le parole e via con lacrime. “Colder Quicker” live è una delle cose più belle di sempre.
Finito tutto dobbiamo sederci 3 minuti per riprenderci e mettere via i feels. Bravi Real Friends, bravissimi vi voglio bene continuate a farci piangere così.
King Prawn – Penny e Chelli
Giunge quel momento della giornata dove il tuo corpo reclama del cibo e tu puoi scegliere di ignorarlo rischiando di svenire in qualche angolo e di non venir mai più ritrovata, o di ascoltarlo e mettere qualcosa sotto i denti.
Noi scegliamo la seconda e il furgoncino della pizza diventa subito il nostro migliore amico. Mentre facciamo la fila per mangiare quella pizza surgelata che in quel momento sembrerà la più buona a questo mondo, ci fermiamo ad ascoltare i King Prawn – ospiti fissi dello Slam Dunk – che stanno suonando sul Desperados Stage proprio lì a fianco.
Non sappiamo i titoli delle canzoni, ma lo ska punk che propongono inganna l’attesa e rende la pizza ancora più buona e l’atmosfera un sacco festa.
The Starting Line – Sara
Questo era di gran lunga il momento che aspettavo di più di questa giornata, momento che aspettavo da anni.
Dal giorno dopo lo Slam Dunk la mia risposta alla domanda “com’è andato lo Slam Dunk?” è HO VISTO I THE STARTING LINE!
Ed è proprio andata così, finalmente ho visto i The Starting Line, band che è uno dei pilastri del bel vecchio pop punk, ed è stato tutto meraviglioso. Il set si apre nel modo più appropriato possibile con “Up&Go”, purtroppo però questo non è l’anniversary tour di Say It Like You Mean It nonostante poco dopo venga suonata anche “Almost There, Going Nowhere”.
La setlist prosegue con canzoni che non sono di certo tra le migliori del repertorio dei The Starting Line, ripescando “Greg’s Last Day”, a cui avrei di sicuro preferito Three’s a Charm per esempio, pezzi sia di Based On a True Story sia da Direction, ma nemmeno i migliori, e poi il nuovo singolo Anyways, ma a me va bene tutto. Sto vedendo i The Starting Line, Kenny Vasoli è un sedicenne con i baffetti e i capelli trascurati che suona felice con dei talismani appesi al collo, la band suona bene e io sono felice.
A concludere questi 35 minuti di gioia vengono scoccate due frecce che arrivano dritte al cuore, “Leaving” e “Best Of Me”, dopo le quali in preda alle lacrime mi accascio contro un muro.
Hellions – Penny
Gli Hellions allo Slam Dunk non ci dovevano nemmeno essere, ma il destino ha voluto che i Beautiful Bodies annullassero la loro presenza qualche giorno prima del weekend e allora gli australiani ne hanno approfittato. Forse è anche per questo che durante il loro show non ci sono molte persone, contando che sui flyer distribuiti il loro nome non era stato sostituito, ma chi era lì era carico e coinvolto.
La band propone un genere poco definibile ma sicuramente di molto impatto e inoltre è bravissima a stare sul palco, tipo che solo a guardarli ti stanchi nonostante tu sia immobile.
La scaletta comprende brani tratti dal loro ultimo album “Indian Summer” e anche la nuovissima “Quality of Life” che sembra portare la band verso un’altra direzione.
Zebrahead – Penny
Mi ritrovo a guardare gli Zebrahead senza averlo programmato e non rinnego nemmeno un minuto passato sotto il loro palco.
Arrivo a show già iniziato ma subito mi trovo in mezzo a gente che vola sulle teste dei presenti, per scoprire poco dopo che la band aveva chiesto di cercare di battere il record di maggior numero di persone che fanno crowdsurfing ad un concerto. Ovviamente tutto fallito miseramente ma ci si prova.
Subito dopo c’è gente travestita che ci prova con un gommone, io non mi faccio nemmeno più domande ma il loro set è forse uno dei migliori della giornata.
Boston Manor – Ria
Gabe sapeva che avrei voluto rivedere i Boston Manor quindi li mette giusti giusti ad un orario dove non avevo nulla da fare, mi precipito di corse al Freesh Blood Stage, la sala è già piena e già capisco che sarà uno dei live più belli della giornata.
Dopo un soundcheck infinito la band di Blackpool apre le danze con “Peach State” e, come al solito, inizia già benissimo.
Non mi stancherò mai di dire quanto siano bravi, durante il breve set ci fanno sentire una canzone nuova, “Coppler” che sarà presente nell’album che uscirà a settembre. Sulle note di “Trapped Nerve” ultima canzone della setlist, il pubblico impazzisce completamente.
Bravi, bravi, bravi e ancora bravi. BRAVISSIMI.
Away Days – Chelli
Dopo il set dei The Starting Line, la mia timeline diceva che sarei dovuta andare a vedermi un pezzo di Mallory Knox, ma siccome poche ore prima avevo rischiato di morire soffocata e calpestata nel corridoio del primo piano, ho deciso di spostarmi solo nella stanza a fianco, quella dell’Acoustic Solo Stage.
Noto che chi non sta bevendo appoggiato al bancone del bar, se ne sta comodamente seduto sul pavimento di moquette e così capisco che questo è il posto per me.
Sbircio il nome dell’artista che si sta esibendo: Away Days.
Praticamente mi sono guardata il set di Jono dei Blitz Kids, mi è andata di lusso.
C’è una folk vibe in quello che suona e quello che dice, sembra un cantastorie, e la gente è seduta ma attenta. Il cellulare serve solo a fare le foto.
Alla fine del suo set dice qualcosa tipo “non fate i musicisti, trovatevi un lavoro”.
Rob Lynch – Chelli
Dopo Jono, mi avvicino furtivamente al palco acustico per essere sicura di avere una degna visuale dei capelli biondi di Rob Lynch, cantautore britannico per cui mi sono presa una cotta allo scorso Slam Dunk dove però suonava accompagnato dalla band. Questa volta invece, sul palco c’è solo questo biondo in piedi che imbraccia la chitarra acustica. Maglia bianca e skinny jeans neri.
La prima fila è piena di quegli amici molesti che ti supportano con urla inopportune ed applausi fuori tempo, infatti tutto inizia in modo leggero con i brani più caldi di “All Theese Nights ecc” tipo “Broken Bones”. C’è spazio anche per un paio di brani nuovi che saranno i futuri pezzi forti di “Baby I’m a Runaway” in uscita il prossimo mese, come “Sure Thing” e una di cui non so il titolo ma che parla di quanto Bobby sia uno stronzo egoista. Il set si fa più intenso con “Whiskey” dedicata alla prematura scomparsa del padre dell’artista, così emozionante che per smorzare la tensione il pubblico si sente in dovere di cantare la parte strumentale del brano, e così torna l’aria di festa che culmina poi nel finale con “My Friends & I”, il solito inno alla spensieratezza, un brindisi alla vita.
Creeper – Ria
Visto che ho il culo molle e pesante decido di non spostarmi dal Freesh Blood Stage finito il set dei Boston Manor per vedere i Creeper.
In Inghilterra la gente impazzisce appena sente anche solo parlare di questa band e e un po’ li capisco perché live sono davvero bravi. La sala è super piena, c’è gente che aspetta fuori.
Le canzoni non le so, so solo che sicuramente hanno suonato “Gloom” e la bellissima “Misery” dopo quest’ultima decidiamo di uscire dalla sala per un’altra pausa bagno, perdendoci così il Crowd Surfing Contest che era partito subito dopo.
In poche parole: Creeper bravi e amati da tutti, dategli tempo 3 mesi e diventeranno una tra le band più discusse in tutto il mondo.
Boom. MISERY NEVER GOES OUT STYLE.
Set Your Goals – Gio
Non ho neanche il tempo di riprendermi dal live dei The Starting Line (ho avuto un breakdown terribile sul finale con Best Of me) visto dalla front row, che l’altro pezzo del mio cuore va in frantumi quando dopo cinque anni rivedo su un palco i Set Your Goals. Ragazzi, inutile, dopo tutti questi anni non ce n’é per nessuno, sono ancora i migliori sulla piazza quindi scansatevi tutti.
Live perfetto, scaletta da 8.5/10 con quasi tutti i pezzoni chiave della discografia. “Look Closer”, “Gaia Bleeds”, “Summer Jam”, “Mutiny!”, “Echoes” e “Goonies Never Say Die!” le ho vissute particolarmente ma tutto il set è stato pazzesco.
Se non li avete mai ascoltati o non li conoscete, questo è il momento per mettersi all’opera. Inoltre sono anche persone mega disponibili, immensi.
Four Year Strong – Penny
Ho visto i Four Year Strong talmente tante volte nell’ultimo periodo che potrei essere stanca di vederli, E INVECE NO!
Finalmente per gli show inglesi è tornato il batterista Jake Massucco e la differenza si sente eccome. La scaletta è sempre delle migliori, non ve la scrivo nemmeno perché è troppo perfetta per dirvi solo dei titoli, e tutto finisce sempre troppo velocemente quando si parla di barbe.
The Rocket Summer – Chelli
Mi sono fatta un’amica di bagno all’ Acoustic Stage, cioè una tipa inglese di cui non so il nome ma ci tenevamo il posto a vicenda mentre andavamo a fare pipì o a parlare con i band members incontrati nel tragitto.
Front row per me e per la mia amica di bagno, Bryce Avary sale saltellante e sorridente sul palco e ci va giù pesante già dall’inizio con “Do You Feel?”
e diamine, si che lo sento.
Continua con un paio di pezzi voce e chitarra tipo “Fl Ca”, da Zoetic, che è anche il mio pezzo dell’estate. Poi impazzisce, va alla batteria rischiando di cadere e rompersi il collo e addio The Rocket Summer, poi al basso, alla chitarra elettrica e al piano e registra tutto con la loop station. In questo modo suona “Awake”, “Brat Pack” e addirittura una cover durante la quale scende tra il pubblico a ballare e a dimenarsi. La setlist non è preparata, Bryce suona quello che gli va di suonare, e spesso chiede consiglio al pubblico ricevendo anche qualche divertente minaccia.
“Fai questo pezzo o altrimenti…” E poi non lo faceva comunque perché insomma, quando sei Bryce Avary e suoni da solo settantadue strumenti e in più ti metti anche a fare beat box nessuno può dirti cosa devi o non devi fare.
Il folletto saltellante chiude rivisitando “Walls” che diventa una cosa completamente diversa da “Walls”.
Dopo il set di The Rocket Summer, guardare qualsiasi altra band dal vivo oramai sembra superfluo. Miglior esibizione di sempre.
Panic! at The Disco – Ria
È il 23 agosto 2013, siamo alla Rocca Malatestiana e stiamo aspettando l’arrivo dei Cobra Starship, headliner della serata…ah no, non è vero.
Inutile dire che aspettavo questo momento circa dalle 6 del mattino di quel giorno. I Panic! At The Disco salgono sul palco e la festa inizia.
Brendon, come al solito, fa lo ‘sborone’ e ci delizia con le sue doti canore accompagnate da lui NUDO, un plus che non va non considerato.
La setlist non è delle migliori, insomma da vere malinconiche noi ci aspettavamo qualche canzone in più degli album vecchi anche se però c’era da aspettarselo visto che Death Of A Bachelor è appena uscito.
Grande sorpresa la presenza di “Nine In The Afternoon” canzone che ha fatto impazzire un pochino me e Sara.
Come dicevo, ovviamente, sono presenti molte canzoni degli ultimi due album: “Golden Days” è tra queste e live è una bomba.
Superflua invece la cover di “Bohemian Rhapsody”
Sui Panic! in realtà c’è poco da dire, bravi erano e bravi saranno, sanno mettere su uno show perfetto sono una di quelle band da vedere almeno una volta anche se non ti piacciono.
Ah anche quest’anno io la lingua c’era, l’ho vista.