Di Michela Rognoni
Foto di: un tizio dello staff degli Yellowcard,Michela Rognoni e Sara Cavazzini
Visto come sono andate le cose questa recensione finirà per trattare più il “prima” e il “dopo” che il “durante” del concerto degli Yellowcard al Rock Planet di Pinarella di Cervia.
Le previsioni davano brutto tempo ma non potevamo che partire da Milano in shorts e canottiera per andare “al mare”. Never trust a metereologo. Infatti c’erano 35 gradi.
Avendo vinto il Meet & Greet con la band (e avendo amiche a cui non allettava più di tanto l’idea di farsi spiaccicare in prima fila) decidiamo di andare in albergo a riprenderci dall’estenuante viaggio passato perlopiù cantando e mangiando la pizza insipida di spizzico.
Credo fossero circa le 5 quando per la prima volta andammo davanti al rock planet. E non c’era quasi nessuno: qualcuno che barboneggiava seduto davanti all’entrata, qualcun altro intorno ad un palo e il tourbus. L’idea che va per la maggiore è quella di passare qualche altra ora a cazzeggiare altrove.
Al nostro ritorno al Rock Planet notiamo degli Yellowcard che scendono dal bus e scompaiono nel vuoto. Poi Longineu Parson III grida “I love you” dal finestrino di una macchina mentre Sean O’Donnel parla ad un tizio con una telecamera fuori dal bus e poi si allontana a piedi.
Non avendo niente da fare iniziammo ad inseguirlo cercando di non farci notare per poi raggiungerlo e fingere un incontro casuale davanti ad una piadineria ed andarcene, dopo avergli chiesto una foto, nella stessa direzione da cui eravamo venute.
Cenando notammo delle facce che ridendo lasciavano un negozio di souvenir, sospettammo la presenza di qualche Yellowcard nel negozio (sospetto confermato più tardi) ma non avevamo abbastanza voglia di abbandonare le nostre piadine per controllare.
Tralascio qualche passaggio stupido ed arrivo al punto in cui manca poco al M&G:
Il “tizio di Freak Promotion” (che aveva messo in palio i posti per il M&G attraverso un contest) ci dice di accodarci nella fila di “quelli-che-ancora-non-hanno-il-biglietto” e che teoricamente dovremmo entrare prima degli altri ma le porte si aprono. Tutti entrano tranne noi, che rimaniamo abbandonati a noi stessi finché la fotografa spiega la situazione ad un tizio della sicurezza che ci fa finalmente entrare. Alle casse ci sono problemi con le liste, ci fermiamo davanti alle casse ad aspettare e ci prendiamo badilate di insulti dalla simpaticissima security di quel bellissimo posto egregiamente organizzato che è il Rock Planet. Finalmente riusciamo ad entrare e veniamo accompagnati al luogo del meet attraversando la sala del concerto in cui fa molto caldo.
Ci ritroviamo all’aperto in una specie di cortile in cui stanno aspettando 2/5 degli Yellowcard. Nessuno si muove, attimi di panico, poi gli altri 3/5 degli Yellowcard arrivano e così noi andiamo a farci autografare i booklet e a fare tutte le altre cose che si fanno ai meet. Elencherò gli avvenimenti più importanti:
Ryan Mendez mi ha rotto svariate costole abbracciandomi.
Delle ragazze di “Yellowcard Italia” avevano fatto firmare a chiunque (compreso Gabe Saporta) una bandiera italiana e l’hanno donata alla band e Sean Mackin eccitatissimo ha chiesto di potersela mettere sulle spalle scandendo per bene ogni singola parola della sua frase.
Il pelatino del Rock Planet era impaziente di farci concludere il meet ma Ryan Key l’ha messo a tacere dicendogli che dovevamo ancora fare le foto uno ad uno insieme alla band.
Insomma, tutto questo per dirvi che gli Yellowcard sono persone per bene molto simpatiche e gentili , non si sentono delle rockstar e vogliono bene a tutti indistintamente.
Dopo tutto ciò avremmo dovuto assistere il concerto da una posizione privilegiata al lato del palco. Peccato che questa posizione al Rock Planet non esista.
La sala è stracolma di gente e l’aria è solo vagamente respirabile. Ci mettiamo al lato del palco da dove più o meno non si vede nulla se non sei alto abbastanza.
A dare inizio alla serata sono gli Skylong, un gruppo emergente del luogo (che ho sempre desiderato di sentire dal vivo). Sono molto giovani e non nascondono il loro desiderio di finire in fretta la loro esibizione per potersi godere gli Yellowcard, gruppo fondamentale anche della loro adolescenza. Suonano pochi pezzi – pochi ma buoni – tra cui un pezzo vecchio scelto dai loro fans “Got to go” e “Show me your best on the dancefloor” di cui dovrebbe essere stato girato il videoclip durante l’esibizione e chiudono con una simpatica cover di “50 Special” che fa sorridere ed agitare la folla. Se proprio devo trovare un neo nella loro esibizione potrei accusare il cantante di aver trasmesso poca energia ma probabilmente è stata colpa del caldo quindi fate finta che questa frase non sia mai stata scritta.
Dopo gli Skylong l’aria nel locale, non è che fosse irrespirabile ma inesistente.
Da una sala all’aperto, in piedi sopra ad un’aiuola si riusciva a vedere il palco per cui quella sarebbe stata la mia posizione. Non giudicate questa decisione come scarso coinvolgimento, interpretatela piuttosto come spirito di sopravvivenza.
Quando gli Yellowcard salgono sul palco il pubblico esplode tra urla ed applausi. Poi parte “for you and your denial” e si scatena l’inferno (figura scelta non a caso). La band è stracolma di energia e non esita a sprigionarla sul palco attraverso i pezzi forti che hanno segnato i loro 10 anni di carriera come “Way away”, “Breathing”, “Rough landing Holly” amalgamati con i pezzi forti del loro ultimo disco come “With you around” e “Life of leaving home”. L’acustica non è delle migliori: le seconde voci spesso si sentono meglio della voce principale. Le voci del pubblico sono spesso più chiare della voce principale.
Grazie al cielo nella scaletta erano presenti due pezzi in acustico: “Empty apartment” e “Sing for me” durante i quali il frontman Ryan Key chiede al pubblico di cantare, di muoversi a ritmo e di imitare gli assoli di chitarra e il batterista Longineu Parson III evita un collasso uscendo nella sala all’aperto dopo essersi sdraiato più volte di fianco alla batteria. Mendez corre ad accertarsi sulle sue condizioni. O’Donnel beve un sorso di birra. Mackin sembra essere l’unico a non sentire caldo e salta sul palco ad incantare tutti con il suo violino.
Dopo questa pausa la band continua con altri pezzi forti,cercando in tutti i modi di ignorare il caldo, ci ridono sopra “questo è lo show più caldo in 10 anni di carriera” twitteranno in seguito, e ringraziano il pubblico per il modo in cui resistono. Ed è la volta di “Only one” in cui ancora una volta Ryan gioca a cantare col pubblico e a coinvolgerlo.
La storia dello scendere e risalire sul palco al Rock Planet non funziona molto bene ma è sicuramente una scusa per prendere un po’ d’aria prima di chiudere lo spettacolo con la crème de la crème della carriera degli Yellowcard: l’ultimo singolo “Hang you up”, l’anthem della speranza “Believe” e “Ocean avenue” a cui non servono descrizioni.
Uscendo dal locale non possiamo fare a meno di notare che le ventole sul soffitto girano aria calda e viziata, che tutto è umidiccio e appiccicoso e che nella sala a fianco dove stavano trasmettendo musica da discoteca c’era l’aria condizionata.
Fuori dal locale un ragazzo lascia una pozzanghera strizzando la maglietta lavata di sudore e Longineu firma svariate ore di autografi mentre i due Ryan si allontanano su una Lancia Y.
Quanto a noi…è il momento di una festa sulla spiaggia.
Grazie Rock Planet, gli Yellowcard hanno detto che torneranno il prima possibile…ma speriamo che tornino all’Alcatraz di Milano. A Dicembre.
Ps: a breve le foto del meet. A BREVE.
Pps:(la grammatica che è stata torturata in questa recensione non ha riportato danni permanenti)