Anche quest’anno siamo stati allo Slam Dunk Festival in UK e come sempre è stata una bellissima festa, tra band dei più disparati generi, amici, pioggia e tanta, ma tanta birra. Se volete rivivere i momenti migliori della giornata, correte sul nostro profilo Instagram e tra gli highlight troverete la sezione dedicata. Ecco i nostri two cents su com’è stata quest’edizione dello Slam Dunk!
WILLIAM RYAN KEY – MARSHALL STAGE (Ila)
Tocca a Ryan l’arduo compito di aprire il festival, con un set acustico composto da vecchie glorie degli Yellowcard a discapito dei suoi pezzi solista – ma credo che nessuno se ne sia lamentato. L’angolo di prato davanti al Marshall Stage è gremito di gente che non perde l’occasione di far partire il sing along in ogni canzone, creando un’atmosfera magica che difficilmente dimenticheremo. Modo perfetto per cominciare la giornata perfetta.
MILK TEETH – DICKIES STAGE (Chelli)
Dopo l’inizio soft con la chitarra acustica di Ryan Key, sul palco a fianco i tupa tupa e le chitarre distorte dei Milk Teeth iniziano a risuonare nell’aria creando un’atmosfera decisamente più punk rock. I loro suoni anni 90 e l’attitudine grunge sono irresistibili tanto che la band riesce a far muovere anche i sederi più pigri. Setlist ben bilanciata e energia altissima dall’inizio alla fine per una delle band più interessanti della scena.
A LOSS FOR WORDS – MARSHALL STAGE (Chelli)
Ho deciso che gli A Loss For Words sono la band degli stop n goes, non perché ne hanno di particolarmente libidinosi nelle loro canzoni, ma perché continuano e entrare e uscire dagli hiatus. La storia è sempre la stessa: brani pop punk ipermelodici accompagnati dalla voce calda di Matty Arsenault che si muove avanti e indietro sul palco nella sua polo di marca molto British. Come al solito performance non eccezionale ma sicuramente molto godibile.
JOHN FLOREANI – ACOUSTIC STAGE (Marti)
Cosa c’è di meglio che vedere John Floreani, cantante dei Trophy Eyes, in acustico in mezzo a un boschetto? Il frontman della band australiana di Hopeless Records ha infatti portato con sé la chitarra per esibirsi allo Slam Dunk, suonando alcuni dei suoi brani da solista. Infatti John è in procinto di pubblicare il suo album sin, preceduto dall’EP Terrace, uscito sotto il nome di Little Brother. Tuttavia il buon Floreani regala al suo pubblico solamente quattro brani, senza suonare i più recenti Echoes e Oh, Brother. Infatti abbiamo potuto vedere solamente Chloe, Moving Day, Distance e Cleveland, OH suonate in questa meravigliosa atmosfera. Peccato, ma comunque la sua esibizione è stata particolarmente emozionante.
WSTR – MONSTER STAGE (Marti)
Un’infelice scaletta e un terribile settaggio dei suoni della band hanno reso il set degli WSTR uno dei più deludenti dello Slam Dunk. Purtroppo infatti gli inglesi e i loro nuovi look colorati, nonostante io abbia amato l’ultimo disco Identity Crisis, non hanno fatto breccia nel mio cuore con questa esibizione. Lasciare poi fuori un brano come Lonely Smiles o la meno nota Nail the Casket, per dare spazio alle due cover da poco pubblicate, è stata una scelta infelice, ma stranamente condivisa da svariate band durante il festival. Almeno hanno fatto Silly Me, vediamo il lato positivo.
KNOCKED LOOSE – IMPERICON STAGE (Ale)
Con l’hype creatosi negli ultimi mesi attorno a questa band, l’Impericon Stage è strapieno già alla una, quando i Knocked Loose salgono sul palco e Bryan Garris comincia a urlare con la sua vocina acutissima. Il centro del mosh pit è un campo di guerra dove alcuni guerrieri scelti praticano l’arte del crowdkilling, mentre il resto del pubblico impazzisce per un gruppo che è già la nuova faccia dell’hardcore. Il clash dell’ultimissima parte del loro set con quello dei Tiny Moving Parts mi impedisce di sentire l’ARF ARF di Counting Worms, ma l’impressione è che i Knocked Loose siano la next big thing nel loro genere.
HOT MILK – KEY CLUB STAGE LEFT (Ila)
Gli Hot Milk sono una delle band rivelazione 2019 e la curiosità per il loro set era altissima. Partono con una traccia inedita, per poi passare a tutti i pezzi contenuti nel loro EP Are You Feeling Alive?; i ragazzi hanno moltissima energia e voglia di interagire con il pubblico, che di tutta risposta non perde nemmeno una parola delle lyrics. Unica pecca durante il singolone Take Your Jacket, dove credo abbiano avuto qualche problema che li ha mandati fuori tonalità nella prima metà della canzone.
TINY MOVING PARTS – DICKIES STAGE (Ale)
I Tiny Moving Parts ormai sono una garanzia di sudore e lacrimoni. Nonostante l’inizio del set in anticipo sul programma (cosa che fa rischiare a parecchia gente di perdersi il primo pezzo, Sundress), il Dickies Stage si riempie e poga a volontà con i pezzoni come Applause, Headache e Birdhouse. Tra un tapping e l’altro, Dylan inserisce anche la piccola perla di For the Sake of Brevity, pezzo vecchissimo recentemente riarrangiato e riregistrato. I capifila dell’emo nel 2019 sono questi tre ragazzi del Minnesota.
AS IT IS – MONSTER STAGE (Ila)
Prima apparizione sul main stage per gli As It Is, che si sono guadagnati una fanbase numerosa e molto canterina. Patty Walters tiene l’enorme palco come se lo facesse da sempre e la band di Brighton dimostra ancora una volta di poter offrire uno show di qualità, nonostante i suoni del Monster Stage siano i peggiori di tutto il festival – cosa che ha penalizzato gli As It Is come tante altre band che l’hanno calcato prima e dopo. Apparizione live per la versione hardcore di The Question, The Answer, che però non mi convince per niente e risulta l’unica nota negativa della setlist.
LIZZY FARRALL – ACOUSTIC STAGE (Chelli)
La cosa bella dei set acustici allo Slam Dunk è che il suono rimane nitido e avvolgente anche quando c’è vento, nell’atmosfera intima della casetta tra gli alberi con tutte le persone rilassate sedute a terra, pronte a godersi della buona musica senza grosse pretese. Lizzy Farrall domina il palco con le sue melodie suadenti e le mosse un po’ awkward. Se il suo aspetto è quello della ragazza della porta accanto, la sua voce è quella di una regina del pop, capace di salire in alto in alto senza scadere in virtuosismi inutili o ripetitivi. Il risultato? Un pop di altissima qualità.
BUSTED – KEY CLUB STAGE RIGHT (Ila)
Il tendone del Key Club Stage è più affollato che mai – tanto che metà degli spettatori deve seguire il set dall’esterno – per la prima comparsa dei Busted allo Slam Dunk Festival, annunciati come i Secret Special Guest dell’edizione 2019.
La band è impeccabile live e propone i grandi successi come What I Go to School For e Air Hostess, accompagnati da una minima rappresentanza del nuovo disco Half Way There. Centinaia (forse migliaia, non riuscivo a vedere la fine della folla) di persone saltano e cantano per tutta la mezz’ora di set, dimostrando ancora una volta che i Busted sono una band più attuale che mai (e decisamente sottovalutata in Italia). Year 3000 chiude lo spettacolo ed è inutile dirvi che abbiamo tutti perso la testa.
PRESS TO MECO – KEY CLUB STAGE LEFT (Michele)
Partiti immediatamente dopo l’ultimo accordo di Year 3000 dei Busted, i giovani inglesi sotto Marshall Records riescono contro le aspettative a mantenere dentro al tendone buona parte dei fan degli attesi special guest. Le canzoni, per lo più tratte dall’ultimo disco Here’s To The Fatigue, sono state evidentemente apprezzate dal pubblico rimasto a guardarli, confermandoli come una delle promesse dell’alt rock inglese.
TROPHY EYES – MARSHALL STAGE (Sara)
Il set dei Trophy Eyes era sicuramente uno dei momenti che molti di noi aspettavano di più in questo Slam Dunk e tutto l’hype che si è creato nei mesi precedenti è stato ben ripagato dal loro set. Come prevedibile la purtroppo molto corta setlist è stata per lo più concentrata sull’ultimo disco The American Dream, con i richiami al recente passato di Chlorine, Heaven Sent e Hurt (forse l’unica scelta che fa storcere un po’ il naso). Confermano di non voler più gridare forte arrabbiati, ma con i pezzi nuovi mantengono la stessa energia e ci regalano una performance pazzesca.
TIGERS JAW – DICKIES STAGE (Sara)
Non ero sicura di riuscire a essere anche a questo set, invece il fato è stato clemente e ha evitato la creazione di file infinite ai bagni, il bisogno di cibo e la stanchezza, e mi ha permesso di vedere i Tigers Jaw. La mia storia con i Tigers Jaw è un po’ complicata, si riassume brevemente dicendo che mi ci sono messa a capirli davvero solo negli ultimi due anni e mi sono pian piano cresciuti dentro. Rivederli live mi ha confermato che prima di due anni fa non capivo un cazzo e avevo sbagliato tutto con loro. Il loro live è stato perfetto, sia sui pezzi leggeri più recenti che sui classiconi più grintosi; a un certo punto mi sono spostata un po’ dalla folla e sdraiata sul prato ad ascoltarli ad occhi chiusi raggiungendo la pace dei sensi. Fino a quando dopo June hanno fatto Plane Vs. Tank Vs. Submarine e I Saw Water una dopo l’altra, e li ho dovuto alzarmi in piedi, ricongiungermi con le mie amiche e gridare a squarciagola.
BETWEEN YOU & ME – KEY CLUB STAGE LEFT (Ale)
Le nuove leve del pop punk di Hopeless Records vengono dall’Australia e portano allo Slam Dunk il loro album di debutto Everything Is Temporary, guidato dal singolone Dakota. Il set è energico, il pubblico del Key Club Stage poga e fa partire circle pit, la band è carica e due dei membri si danno anche al crowdsurfing: cos’altro si può chiedere a un concerto pop punk? Sicuramente una delle band da tenere d’occhio in questo genere nei prossimi anni.
SEAWAY – MARSHALL STAGE (Marti)
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Tutto quello che potrei scrivere in queste poche righe non basterebbe a riassumere quanto sia stato bello il set dei canadesi Seaway. Ogni canzone, ogni secondo, ogni calcio in testa e pure un labbro quasi distrutto mi hanno resa la persona più felice al mondo e vorrei vedere i Seaway ogni giorno della mia vita. Dalla più vecchia Shy Guys alla nuovissima Pleasures, la band è riuscita ad accontentare tutti i fan, anche se Blur potevano farla dai, tant’è che la security ha dovuto fermare il loro show per qualche istante. Infatti il pubblico era talmente esaltato che i crowdsurfer non si sono fermati un secondo, mettendo a dura prova gli stoici membri della sicurezza.
WATERPARKS – MONSTER STAGE (Mary)
La band di Houston è salita sul palco e Awsten ha sfoggiato dal vivo il suo vivace colore verde fluo e non contento ‘solo’ dei capelli ha deciso per l’occasione di mettersi anche un giubbetto catarifrangente dello stesso colore. Outfit a parte, i Waterparks sono sempre una garanzia: si inizia con Blonde e si arriva ai meme di Twitter, perché non sono una band da prendere troppo sul serio. La penultima canzone è Turbolent, la prima novità della nuova era della band, ed è la conferma che a parte i capelli colorati, i Waterpaks si sono meritati il main stage.
SILVERSTEIN – JAGERMEISTER STAGE (Ale)
Shane Told e soci sono uno degli highlight di questo Slam Dunk. La scaletta è azzeccata e copre l’intera discografia della band, dai successi come My Heroine e Smile in Your Sleep, ai pezzoni come Vices e Massachusetts e anche alcune perle dall’ultimo album, in particolare The Afterglow sulle cui note pop punkeggianti si chiude il set. A quasi 40 anni la band di Toronto dà ancora lezioni a buona parte dei gruppi che si sono esibiti con loro sull’Impericon e sullo Jagermeister Stage.
SAVES THE DAY – DICKIES STAGE (Chelli)
Quel criminale di Chris Conley ha aperto il set con At Your Funeral e niente, il funerale era evidentemente il mio e potevate anche seppellirmi lì.
Ovviamente i pezzi più attesi erano quelli tratti dai due album storici Through Being Cool e Stay What You Are, che grazie al cielo non sono mancati: Cars and Calories, Holly Hox Forget Me Nots e Freakish sono stati senza dubbio le parti più emozionanti di un’esibizione forse un pelo sottotono ma ugualmente imperdibile.
REAL FRIENDS – MARSHALL STAGE (Marti)
Da Chicago sono tornati anche i Real Friends, che lo scorso anno avevano saltato le tre date dello Slam Dunk per problemi personali. Il pubblico li ha accolti con tutto il calore possibile, fin dalle prime note di Mess. La band ha suonato una scaletta varia, che ha accontentato anche i fan di vecchia data grazie alle intramontabili I’ve Given Up On You e Late Nights in My Car. Ma anche per quelli a cui è piaciuto l’ultimo album Composure ci sono state delle sorprese, infatti la band ha suonato ben cinque canzoni del disco, comprese le meno scontate Me First e Stand Steady. Purtroppo i Real Friends hanno scelto di suonare una cover di Island dei The Starting Line, che, nonostante il discorso commovente che la ha preceduta, ha tolto spazio ai brani originali della band.
STORY OF THE YEAR – JAGERMEISTER STAGE (Sara)
Tra i tanti momenti throwback (chiamiamoli così per non dire apertamente che ormai siamo vecchie) di questo Slam Dunk c’è stato anche quello degli Story Of The Year.
Ovviamente quello che tutti vogliono sentire è Page Avenue e la band lo sa bene, infatti suonano And The Hero Will Drown, In The Shadows, Anthem Of Our Dying Day e Until The Day I Die in chiusura, ma ci tengono a ricordare che loro continuano a esserci e propongono anche alcuni brani del loro non proprio esaltante ultimo disco Wolves, che però inseriti nel contesto di una performance live pazzesca non stonano. Anche gli Story Of The Year rientrano nella categoria di “band di vecchi che asfaltano i giovani”. Ma come se i classiconi di Page Avenue non ci bastassero, hanno deciso di stroncare i nostri anziani cuori con delle mini cover completamente a caso nel seguente ordine: Ocean Avenue feat. Ryan Key; Cute Without The ‘E’; I‘m Not Okay feat. il batterista/cantante degli Atreyu; Taste Of Ink. Elettrocardiogramma piatto per innumerevoli minuti a seguire.
SIMPLE PLAN – MONSTER STAGE (Mary)
I Simple Plan sono stati la grande novità di questa edizione dello Slam Dunk e il risultato è stato eccezionale! Hanno ripercorso con le canzoni tutta la loro storia con un classico dopo l’altro da I’d Do Anything, passando per Summer Paradise e Welcome to My Life. C’è stata quella connessione col pubblico che dimostra gli anni di esperienza che va oltre l’età anagrafica dato che a 40 anni riescono a saltare, ridere e divertirsi come degli adolescenti. La scena più bella è stata quando Pierre ha sostituito Chuck alla batteria e il batterista ha avuto il suo momento di gloria gettandosi sulla folla.
ROB LYNCH – ACOUSTIC STAGE (Chelli)
Rob Lynch sta allo Slam Dunk come Michael Bublé sta al Natale. E se in tutti questi anni non avete mai visto una sua esibizione vi siete persi moltissimo. Rob suona sempre 20 minuti e in questi 20 minuti non suona niente che sia uscito dopo il 2014 a parte Red Lion Square, il suo brano del 2018 che parla di depressione ma che è sempre cantata con un grosso sorriso sulle labbra. Gli altri brani, tutti tratti dall’album All Theese Nights In Bars ecc. del 2014, sono dei sing along esagerati e infatti è la folla a chiudere il set al grido di “My friends and I we ve got a lot to live for/ my friends and I we live the good life at least just for tonight”.
HELLOGOODBYE – MARSHALL STAGE (Sara)
Negli ultimi giorni mi sono trovata più volte a dover spiegare chi sono gli Hellogoobye e la risposta è sempre stata la seguente: “hanno fatto la canzone più bella della storia nel 2006, si chiama Here e mi raccomando guarda anche il video che è un capolavoro”.
Non saprei come descrivere il set se non come un’esperienza mistica con retrogusto di LSD. Arrivo al Marshall Stage a set iniziato, non so la setlist, non so cosa sia successo, non sapevo ovviamente i pezzi usciti dopo il 2006, sentivo musichine, synth, colori e scelte stilistiche discutibili (troppo disco e troppo poco neon per i miei gusti). A un certo punto c’è stata Baby, It’s a Fact e poco dopo è arrivato il momento che aspettavo dal 2006, è arrivata LA canzone, Here (In Your Arms), mi sono sentita giovane ed è stato bellissimo. Chiusura del set con il delirio di Touchdown Turnaround. Facciamo tornare il neon per favore.
NECK DEEP – MONSTER STAGE (Marti)
Non so se ne voglio parlare o no, ma i Neck Deep sono sempre stati un mio affare e quindi lo farò, controvoglia. Il secondo set peggiore della giornata è stato proprio quello dei beniamini del pop punk, che si sono esibiti con una scontatissima scaletta. A peggiorare la situazione sono stati ancora una volta i pessimi suoni del main stage, che facevano suonare la band come se fosse dentro una bolla. Per i Neck Deep è arrivato il momento di lasciarsi alle spalle l’era di The Peace and The Panic e far uscire qualcosa di fresco, perché i loro show stanno iniziando a diventare fin troppo noiosi. Anche se l’emozione di fare parte di un pubblico così grande che era lì proprio per vedere loro suonare è stata grande.
NEW FOUND GLORY – MONSTER STAGE (Marti)
Una delle band che più aspettavo per questo Slam Dunk erano proprio i New Found Glory, lontani dalle terre italiane da ben 5 anni. Per questo il fatto di vederli suonare sul main stage, vittima dei terribili suoni, mi ha fatto partire scoraggiata. Tuttavia sembra proprio che per loro ci sia stato un cambio di personale, dato che il loro sound ha spazzato via l’intero pubblico. Un’altra minaccia si è però affacciata sul set dei New Found Glory: il recente album di cover rilasciato dalla band. Purtroppo il nostro timore che il set, già corto, della band potesse essere intaccato da più di due cover era fondato. I NFG hanno suonato ben 5 cover su 14 pezzi. Li perdoniamo solo perché hanno suonato Dressed to Kill, Truth of My Youth e Failure’s Not Flattering? Sì, ma solo se fanno un tour europeo e se fanno pezzi della loro discografia che è una delle più belle della scena pop punk dei primi ‘00.
PLAIN WHITE T’S – MARSHALL STAGE (Sara)
A questo punto è chiaro che questo Slam Dunk sia stata per gran parte una passeggiata sul viale dei ricordi. Qualche settimana prima di partire mi confrontavo con Martina sui set che avrei visto e arrivata ai Plain White T’s avevo detto “anche se oltre a Hey There Delilah conosco solo un paio di canzoni”, per poi ricredermi subito dopo aver visto una setlist della quale ne sapevo almeno la metà e mi sono ricordata di come MySpace mi avesse rovinato la vita. Nonostante ignorassi completamente l’esistenza di un nuovo album, sono subito stata trascinata in un vortice potentissimo di feels da 1,2,3,4, Hate (I Really Don’t Like You), Our Time Now, la dimenticata Rhythm of Love (che conferma la regola che in troppe band c’è un chitarrista con una voce migliore del cantante) e poi arriva lei, Hey There Delilah e cosa volete che vi dica? Che bello.
JUSTIN COURTNEY PIERRE – ACOUSTIC STAGE (Ale)
Alle 20.20, ovvero pochi istanti prima che sui palchi principali salgano All Time Low, Nofx e Bullet for My Valentine, un piccolo gruppo di curiosi si raduna al palco acustico per passare venti minuti in compagnia del capelluto frontman dei Motion City Soundtrack e ripararsi dalla pioggerella. Tra una cover, qualche pezzo dal suo bell’album solista In the Drink, una canzone dei MCS e tantissime chiacchiere, più che a un grande festival sembra di trovarsi a un concertino fra amici: Justin fa passare a tutti noi un intimo momento di riposo prima di addentrarci nelle folle degli headliner.
THE MENZINGERS – DICKIES STAGE (Chelli)
A parer mio la miglior performance del festival, sia tecnicamente, che a livello di energia e di feelings. Si parte con Tellin’ Lies e già il pubblico impazzisce, ed evidentemente anche Dio si deve essere emozionato perché è spuntato in cielo un doppio arcobaleno gigante. Presi bene dalla situa hanno persino suonato Casey, che non avevano fatto durante il loro ultimo concerto in Italia. Con I Don’t Banna Be an Asshole Anymore la gente si è agitata così tanto che dalla regia hanno abbassato tutti i volumi perché stavamo facendo troppo casino. Finale top con Nice Things, ma sarebbe stato bello se fosse durato per sempre.
ALL TIME LOW – MONSTER STAGE (Mary)
Ritrovarsi ad essere headliner di questa edizione dello Slam Dunk e suonare dopo i New Found Glory potrebbe creare un po’ di panico ma nulla è riuscito a spaventare la band del Maryland che ha saputo superare ogni aspettativa. Si inizia con Damned If I Do Ya (Damned If I Don’t) e non si poteva chiedere di meglio. Quest’anno decorre il decimo anniversario di Nothing Personal e per questa occasione speciale la band ha deciso di stupirci con ben 8 canzoni dell’album. Le due chicche sono state Keep The Change, Yout Filthy Animal e Party Song (Walk of Shame). Ad Hatfield si sono definiti i ‘masters of the weather ‘ dato che quando hanno iniziato a suonare la pioggia ha smesso ed è persino uscito l’arcobaleno. Per fare compagnia ad un Alex con i capelli verdi anche il suo amico Awsten dei Waterparks ha fatto la sua apparizione durante Break Your Little Heart. La bellissima sorpresa è stata la presentazione in esclusiva di una nuova canzone Getaway Green (io stavo piangendo ma dettagli) che ricorda tutte le sonorità di Nothing Personal e Don’t Panic. Il finale con Lost in Stereo e Dear Maria, Count Me In ha chiuso quello che è stato uno dei set più energici ed esplosivi di questa edizione.
SEE YOU AT SLAM DUNK 2020!