Cosmetic, band 2019

“Fare emo oggi significa esporre la propria sensibilità senza vergognarsene” – Interview with Cosmetic

di Allaria

Siamo giunti al sesto album dei Cosmetic, di ritorno dopo Core del 2017 (To Lose la Track/Dischi Sotterranei), con un lavoro che ancora una volta strizza l’occhio ad un pubblico amante dei pedalini riverberosi e delle sonorità dreampop. Plastergaze sacrifica un po’ di immediatezza in favore di una stratificata profondità che gli consente di rivelare nuove sfaccettature ad ogni ascolto.

L’album è in uscita il 15 marzo per To Lose La Track e Lady Sometimes Records. Ci siamo fatti raccontare il disco direttamente dalla band stessa. Ecco cosa ci hanno detto!

Inetti n.1 è un inno per chi ospita un nemico al proprio interno, un elemento autosabotatore che non consente di arrivare alla meta, o che al contrario, può darci quel qualcosa in più. Bombardati come siamo dai media che ci propinano l’idea che arrivare primi sia l’unica cosa che conta, c’è ancora posto per gli inetti nel mondo? E voi a quale “posto” puntate come band?

Inetti n.1 è un incoraggiamento per gli inetti a prendersi il proprio posto nel mondo, che di sicuro non sarà il primo posto, però ci vuole un po’ di carica anche per sentirsi accettati, e per accettare sé stessi. Cantiamo queste cose da quando siamo nati; non è una novità, è solo un po’ più ridanciano il titolo. Noi abbiamo un sacco di fan inetti, borderline, emarginati e di tutto di più, ma è perché a loro piacciamo così: Briatori e vincenti.

Ci potete spiegare come siete arrivati alla scelta della copertina dell’album?

La copertina nasce dall’amicizia e dalla stima col maestro Zannunzio a cui abbiamo affidato un po’ il fil rouge grafico della cosa. Parlando è venuta fuori questa cosa degli oscillatori che lui modifica rendendo visibile il suono e ci è piaciuta. Ascoltate i Submeet, la sua band.

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Diverse volte nei vostri testi capita di trovare menzionata una relazione padre-figlio (“In faccia al mondo”, “La linea si scrive da sola”, ma anche “La stanza del figlio”). Si tratta di una relazione che esiste realmente e che rispecchia qualcuno di voi come figlio o come padre, oppure si rifà a qualche altro tipo di immaginario?

Un po’ l’uno e un po’ l’altro. Bart è padre. Ma in alcuni testi il punto di vista è del figlio, in altri del padre. Potrebbe averli scritti chiunque, servono a cercare di sistemare alcune cose che sono andate storte, o che sono mancate proprio. In alcuni casi si cerca di immaginarsi come sarebbe stato se. In altri si cerca uno spiraglio di speranza per come lasciamo questo cesso di vita ai posteri.

Credete che il fatto di aver cambiato spesso formazione (peraltro senza ledere alla vostra autenticità) abbia giovato al vostro percorso di crescita? Se sì quanto ha influito e in che modo?

Abbiamo sostanzialmente cambiato 3 chitarristi in 15 anni e ognuno ha portato del suo in quel che scrivevamo. Sicuramente ancora nessuno aveva avuto modo di scrivere anche dei testi o un intero brano come invece ha fatto Straccia (chitarrista anche dei Marcovaldo). Poi ora Alice ha unito basso e voce in un’unica mossa. Siamo molto felici insieme, però mi immedesimo in uno da fuori che non vive quel che viviamo noi: il fatto che cambino i volti della band non è facile da seguire. È come perdersi delle puntate di Beautiful. Però se venite ai concerti e facciamo due chiacchiere come una volta si ristabilisce subito la friendship e la regazness.

Mi sembra che quantomeno dal punto di vista dei testi vi portiate dietro una componente emo/emocore. Che vi riconosciate nella definizione o meno, per voi che cosa significa fare emo oggi?

Pensa che la prima volta che ci hanno detto (ce lo disse Barbara di Io e La Tigre) che avevamo una forte componente emo fu nel 2005 quando ancora pensavamo che emo volesse dire i Nofx e i Millencolin. All’epoca però in effetti ci piacevano molto At the Drive In e Rival School, ma nulla più. Oggi fare emo credo significhi fare musica che espone direttamente la propria vulnerabilità, senza entrare in merito a cliché e cifre stilistiche o tecniche precise; per noi significa esporre la propria sensibilità senza vergognarsene. Ci sono intere generazioni di uomini che tale sincerità la considererebbero un difetto.

Mi è parso di sentire un po’ di The Cure in alcuni pezzi, soprattutto in Ande. Mi chiedevo se ci fossero degli album in particolare a cui vi siete ispirati per Plastergaze.

Suonerà banale dirlo, ma abbiamo cercato di capitalizzare tutti gli aspetti che ci piacciono dello shoegaze, dalle chitarre dei My Bloody Valentine ai synth degli Slowdive, la velocità dei Ringo Deathstarr e i fraseggi girl+boy dei The Pains of Being Pure at Heart. Beh, poi due canzoni hanno doppia batteria left + right come King Gizzard e due brani avevano come working title “Deftona” e “Kelvina”… questo può indicarti un po’ un range di influenze.

Scranio parla della mania tutta tecnologica di dover salvare qualsiasi cosa, finendo per credere che sia più importante memorizzare un’esperienza su un dispositivo che viverla effettivamente: “hanno chiuso un attimo gli occhi e non hanno visto l’eclissi”. C’è stato un momento particolare che ha ispirato la nascita di questo pezzo?

Molto molto bella quest’interpretazione! Si trova circa a metà fra i due estremi a cui stavamo pensando. Il pezzo stava nascendo e ha preso il volo proprio con quella frase che non lasciava ben capire se si stesse parlando dell’icona del floppy o di un’anima che bruciasse all’inferno. È un testo biografico ma che mixa diverse cose delle nostre vite insieme. La tua interpretazione comunque è molto condivisibile. Fa pensare a un fumetto di Baronciani, quello in cui lei non riesce a scattare una foto e lui le dice “Meglio: dovrai ricordarti col cervello di questo momento. Sarà più difficile, ma più bello!”

Quanto pensate sia importante la dimensione del live in quanto mezzo espressivo per la vostra musica?

Senza live non si campa, e nei live secondo me si respira la differenza fra i poser della musica e chi suona perché ne ha disperatamente bisogno per trovare un proprio posto nel mondo, e magari della comprensione, e sicuramente della condivisione! Mi spaventa la fama e il dover condividere dei così bei momenti con centinaia o migliaia di teste di cazzo con cui non condivideresti nemmeno un caffè. Eppure è così: la musica è di tutti e devi essere professionale.


Ecco le prossime date dei Cosmetic, dove potremo sentire Plastergaze dal vivo!

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