Di Ilaria Collautti
Anticipato di una settimana per la gioia di tutti, Half Way There – il quarto studio album del trio britannico Busted – è stato pubblicato l’1 febbraio via Warner Music Group.
“Nineties” apre le danze e ormai abbiamo avuto tempo di conoscerla e amarla, grazie anche al music video iconico e alle melodie catchy che guardano allo stile dei primi anni di carriera della band. Segue “Reunion”, un altro singolo che ha preceduto l’uscita del disco, il quale è caratterizzato dall’unione perfetta tra gli elementi elettronici di Night Driver nelle strofe e quelli pop rock che hanno reso famosi i Busted nei ritornelli. Ritmata e vivace, “Reunion” ripercorre i pensieri e i rimpianti che hanno tormentato la band negli anni di assenza dalle scene.
Per “What Happened to Your Band” c’è un discorso molto più ampio da fare: scritta più di 10 anni fa per il secondo full-length (mai pubblicato) dei Son Of Dork, poi inserita nel self-titled dei McBusted, approda ora in Half Way There. Mi chiedevo come i Busted avrebbero differenziato la “loro” versione da quella dei McBusted e la risposta è che non l’hanno fatto; la nuova “What Happened to Your Band” è molto simile alla versione precedente e ciò che davvero fa la differenza è la presenza di Charlie nel bridge. Insomma, inutile scegliere quale sia la versione migliore perché – qualunque sia la scelta – rimane in ogni caso una canzone bellissima; certo è che forse avrei preferito sentirne un arrangiamento più originale, magari acustico.
Con “Shipwreck in Atlantis” e “Race to Mars” si raggiunge secondo me il punto meno entusiasmante del disco; la prima è molto semplice e banale, in stile blink-182 (l’abbiamo sentito tutti il riferimento a “The Rock Show”, vero?) e – a detta della band – dovrebbe essere una sorta di “continuazione” della storica “Air Hostess”, mentre la seconda è l’anello di congiunzione tra Half Way There e Night Driver, con strofe elettroniche bruttine che si alternano a ritornelli in cui le chitarre riprendono i loro spazi. Però fidatevi, vale la pena di ascoltarla fino alla fine per sentire il bridge!
“All My Friends” è il brano acustico del disco e non può che essere perfetto esattamente così com’è, soprattutto perché mi ricorda tantissimo gli album da solista di Charlie – di cui sono un’amante; insieme ai singoli, è sicuramente tra i pezzi migliori di Half Way There. “MIA” è una canzone allegra e leggera che richiama lo stile dei The 1975 nelle strofe; non la più bella ma di sicuro neanche la peggiore, facile da ascoltare e capace di prenderti sempre di più ad ogni ascolto, soprattutto grazie al ritornello che convince fin da subito. Certo, niente a che vedere con “Radio” – che probabilmente entra nella Top 5 dell’intera discografia dei Busted: dolce, malinconica, catchy e pop al punto giusto.
Siamo ormai quasi alla conclusione di Half Way There quando arriviamo a “Nostalgia”, che parte con un riff pop punk di tutto rispetto e i cui ritornelli oscurano le strofe, per poi approdare a “It Happens”, un altro dei brani che più mi hanno convinta in questo viaggio. Mi ricorda un pochino il mood della vecchia “Loser Kid”, la tipica canzone molto semplice e lenta che dà il meglio di sé nell’esplosione del ritornello finale. Molto bella e adatta come closure.
Fin dall’annuncio della reunion nel 2016, i fan hanno chiesto ai Busted di ricominciare da dove erano stati lasciati più di dieci anni prima; James, Matt e Charlie non si sono tirati indietro e ci hanno donato un disco che non ha nulla da invidiare ai primi lavori della band. Half Way There è la versione più matura del pop rock che i Busted ci offrivano nei primi anni 2000, dimostrando di sapersi sempre reinventare senza però perdere l’impronta stilistica che li ha resi famosi.
VOTO: 8/10