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REVIEW: “Paper Flowers” by Paper Flowers

di Alessandro Mainini

Nel triste mondo dell’emo contemporaneo c’è da tempo un motivo in più per essere malinconici: le allegation del 2017 sono riuscite a rovinare persino la magia del Mates Club Worldwide dei Moose Blood, una delle band che ci hanno suscitato più feels dal 2013 a oggi. Se la band ne è uscita con l’immagine a pezzi, peggio ancora è andata al suo batterista, peraltro il membro più simpatico del gruppo.

Glenn Harvey è stato cacciato in malo modo dalla band a marzo 2017 nel bel mezzo di un tour americano, nel tentativo di salvare la faccia e ripulire l’immagine della band. Un anno di solitudine e di psicoterapia ha portato Glenn a trovare la voglia di riprendersi  quel mondo che gli è stato sottratto bruscamente, e il suo nuovo progetto Paper Flowers sembra aver intrapreso la direzione perfetta per inseguire il sogno di nuovo.

Il suo primo EP è un self-titled di sei canzoni, pubblicato dagli amici di Weather Girl Records (etichetta fondata da membri di Coldbones e Muskets, presto in Italia insieme ai Movements). I feels sono un po’ quelli dei primi EP dei Moose Blood, privati della parte emo e arricchiti di un sound che in Inghilterra è sempre andato fortissimo: quello shoegaze/post-grunge che si ottiene registrando le tracce con il tubo di un aspirapolvere acceso al posto del microfono.

Il tono è parecchio dark (e non potrebbe essere altrimenti), sia a livello di tematiche, sia a livello di sound e umore. Lo shock causato dagli avvenimenti dell’anno precedente pervade ogni traccia, e Glenn ci accompagna in una sorta di diario veridico della battaglia contro la propria depressione. Si alternano così momenti di sconforto in cui l’artista ammette di non essere quasi mai uscito dalla propria stanza in un anno intero, a momenti di determinazione in cui Glenn appare deciso a voler stare bene e riprendersi il posto che gli spetta nel mondo della musica (“I’m gonna sing till I’m okay”).

Libero dall’obbligo di scrivere per vendere o per seguire un ciclo di pubblicazione, Paper Flowers è un disco realizzato a scopo catartico, che nasce da una forte necessità personale di dare forma alle proprie emozioni e ai propri pensieri più intimi: è così che nascono tutte le opere d’arte migliori (e questo lo dice un poeta come Rilke, non certo il sottoscritto).

Se si dovesse scegliere una canzone-simbolo per rappresentare il disco, sarebbe senz’altro Floaty. Il sound ricorda band come i Basement, i Citizen e tutto quel filone, con l’aggiunta di un synth timidino che mette fuori la testa fra una strofa e l’altra. Glenn rivela un inaspettato talento per il canto, e anche se la sua voce non è certo quella di un virtuoso dell’ugola, il suo timbro e le emozioni che sa trasmettere non potrebbero essere più adatte per un genere come quello che ha scelto.

L’EP è breve, e forse proprio per questo motivo particolarmente intenso. Da una Black Cat dove i chitarrini escono direttamente dall’ultimo album dei Turnover a una Astral Rejection che strizza l’occhiolino all’indie rock (ma con il ritornello più “catchy” del disco), Glenn sembra perfettamente a suo agio nel farci provare tutte le sensazioni che stanno nella parte di spettro opposta alla felicità. Eppure c’è sempre un fil rouge di sommessa positività che collega le tracce: “But I’ve grown, and I hope I’ve shown you a better person I came out”, canta Glenn in Astral Rejection.

I Get Scared è la canzone più carica e propositiva del disco. Glenn vuole darci un taglio e mettersi alle spalle le sofferenze dell’anno più difficile della sua vita: “So sick of writing songs about depression / ‘Cause I don’t want to give you the wrong impression”, dichiara in apertura di una traccia che colpisce per la sua energia, anche se il ritornello disordinato disorienta un po’ l’ascoltatore. I fan del British English adoreranno il bridge, in cui il nostro da Canterbury si lancia nella pronuncia più inglese che si possa immaginare.

Fra tutte le canzoni trovo però particolarmente significativa la quinta traccia, Coffin Break. Oltre al sagace gioco di parole sull’usuale “coffee break”, in questa canzone Glenn parla direttamente di quanto successo con i Moose Blood oltre un anno prima. “I’ve been crying again / This time it’s my bedroom at 4:42 a.m. / ‘Cause I’ve been listing my mistakes / And things I wish I had said before we got to Chicago / When I was left by my old friends / … / A plane ride home, all alone.” Un tuffo al cuore per chiunque abbia seguito con partecipazione la controversa vicenda. Il testo di questa canzone vale ben più di qualsiasi commento, per cui lascio volentieri la parola a Glenn: “Spent most of this year in my room, I’m a nervous wreck / And I’m sorry I can’t prove I’m okay / How will I know when I’m okay?”

Non sappiamo se la scena inglese saprà accogliere nuovamente Glenn Harvey al suo interno. Conoscendo le persone che la frequentano, sarei abbastanza pessimista a riguardo. Quello che è certo è che Paper Flowers non è soltanto un modo per Glenn di affrontare la propria situazione emotiva e psicologica, ma un vero e proprio progetto musicale che merita di essere sviluppato a tempo pieno. Il bundle che includeva la cassetta dell’EP, disponibile in 50 copie, è andato sold out in pochi giorni, ma la bellissima maglietta compresa nel pacchetto è ancora disponibile su Bandcamp, insieme allo streaming del disco. Consiglio finale: date un’occhiata alla maglietta; se vi sembra stupenda, premete play e fatevi accompagnare da Glenn in un saliscendi di feels che non durerà mai abbastanza a lungo da non voler far ripartire il disco da capo.

VOTO: 8,5/10

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