di Alice Filippi
Nek, il batterista dei Radiohead scazzato per dei mandarini, e un limone tra Paolo Conte e Morrissey. Il concept del nuovo singolo dei Pop X? No, semplicemente alcune delle parole chiave uscite durante la nostra chiacchierata via mail con i Lapingra, duo indie/pop molisano.
Attivi dal 2007, sono caratterizzati da un sound piuttosto stravagante dato anche dal fatto che uno dei loro strumenti è una tastierina giocattolo della Chicco. Hanno però da poco cambiato il loro sound, pubblicando un singolo molto catchy intitolato Devo dirty di Luca, di cui parliamo anche qui sotto, all’incirca tra Nek e il limone sopracitato.
Qual è stato il primo concerto a cui avete assistito?
Che storia, per entrambi è stato lo stesso: concerto di Nek, stadio comunale di Isernia, avevamo undici anni e molto entusiasmo.
Voi siete attivi dal 2007. Come vi siete conosciuti e cosa è cambiato in questi anni?
Ci siamo conosciuti a Isernia, tra i banchi di scuola del liceo classico. Dopo una travagliata relazione amorosa finita malissimo (Paolo se ne andò con una tipa di Vasto) decidemmo che l’unico modo per rimanere amici era quello di formare una band. Ora non siamo più amici, ma la band è rimasta.
Qual è la cosa più strana o assurda che vi sia mai capitata come band?
Qualche anno fa abbiamo suonato in Francia, in un posto assurdo sperduto tra le campagne di Clermont-Ferrand. Il tipo del locale ci ospitò in una vecchia roulotte abbandonata dove le vespe avevano fatto i loro grossi nidi tra le finestre, nei lampadari, uno stava pure nella tazza del water. Dopo aver protestato, il tipo del locale alzò le spalle e andò via. Tornò pochi minuti dopo allungandoci un accendino e dicendo con fare francese “Oplà! Brûlez-les !” Ah, e poi la porta della roulotte ci è caduta addosso mentre facevamo pipì.
Il nuovo singolo, Devo dirty di Luca, ha un sound differente rispetto ai vostri brani meno recenti. Come mai questo cambio di stile? E Luca chi è?
Stiamo registrando il nostro ultimo disco che sarà il primo che facciamo in italiano. Ci è sempre piaciuto, più che contaminare, frullare generi, idee e influenze diverse. La nostra musica potrebbe definirsi un pop post-moderno. Poi però è arrivata la crisi e i problemi dei trent’anni. La nostra scrittura ne ha risentito parecchio. Devo dirty di Luca è un po’ un pezzo traghetto, dal fancazzismo colorato dei vent’anni dove tutto è possibile al fancazzismo oscuro dei trenta dove tutto sembra possibile ma troppo difficile. Luca è un po’ l’emblema di questa presa di coscienza, di questo risveglio dal torpore, quando pensi di avere tutta la vita davanti. Poi arriva qualcuno e ti dice “Oh, guarda che Luca è andato avanti, sta con un’altra, si è fatto una vita… e tu? Che hai fatto nel frattempo?” Ecco, così potremmo spiegare il senso di questo pezzo. Scrivere in italiano poi toglie tutti i filtri, ti mette a nudo, il testo diventa importantissimo, è la prima cosa che arriva al pubblico. Forse avevamo bisogno di una maggiore introspezione, di un dialogo più semplice e immediato con le persone che ci ascoltano.
Che influenze ha questo “cambio di stile”?
Abbiamo ascoltato sempre tanta musica diversa. Siamo cresciuti con i Nirvana, i Sex Pistols, gli Smiths e i Radiohead. Poi ci siamo avvicinati al musical, al cantautorato americano, al dream pop islandese, alla shoegaze inglese etc. Ultimamente ascoltiamo tantissima roba italiana, da Paolo Conte a Lucio Dalla, da Nada a De Gregori (ma anche la prima Iva Zanicchi). Poi ci piace un sacco la scena indie italiana che si è sviluppata in questi anni, c’è davvero tantissima roba interessante. Il nuovo disco non sarà così estremamente mixed up come i nostri vecchi lavori, ma ci piacerebbe se avesse lo stesso suono di un limone duro tra Paolo Conte e Morrissey.
Cosa sperate trasmettano le nuove canzoni ai vostri fan?
Speriamo che i pezzi nuovi abbiano un respiro universale. Ci è sempre piaciuto lavorare con le immagini e scrivere canzoni che possano proiettare fotografie nell’immaginario dell’ascoltatore. Porco Mondo, ad esempio, il singolo che uscirà a settembre, parla proprio della crisi che arriva quando hai trent’anni, quando ti sembra che tutto è andato avanti e tu sei rimasto indietro e molte cose non ti fanno più ridere perché non le capisci più. I ragazzi che fino a qualche anno fa erano bambini adesso ne sanno più di te. Insomma, è un momento particolare in cui non ti senti più al centro del mondo. Noi crediamo che più o meno lo vivano tutti a questa età. VERO?
In cosa trovate l’ispirazione per i vostri testi?
Angela: Il modo di scrivere testi è cambiato molto nell’ultimo periodo: è diverso scrivere in italiano rispetto all’inglese. Nei nostri primi album i testi avevano una componente onirica che stava alla base di tutto. Un sogno, un’immagine, un film poteva aiutarmi moltissimo a scrivere. Adesso sono più attenta al mio vissuto quotidiano, a quello che mi accade intorno, al sentire quello che provo in una situazione che mi capita. Poi quando sono triste e ho l’ansia mi si apre tipo una diga ed esce tutto fuori, quasi non me ne rendo conto. Quindi un po’ di sana tristezza a volte mi serve un sacco.
Guardando tutta la vostra carriera, qual è la canzone con la storia più travagliata o curiosa?
Questa fa molto ridere. Eravamo ubriachi fradici a casa dopo una cena, avevamo tipo ventitré anni. Paolo inizia a suonare un motivetto con un flauto della terza media, io inizio a strillare “Eat a mandarino!”, altra gente che rutta etc. Insomma, quello stornellaccio stonato ci sembra la cosa più bella del mondo e decidiamo di metterlo subito sulla nostra pagina MySpace e ce ne andiamo a dormire. E ce ne dimentichiamo. Giorni dopo ci chiama la bonanima Circolo degli Artisti e ci chiede se siamo interessati ad aprire il concerto solista di Phil Selway, il batterista dei Radiohead. Naturalmente noi super contenti, finché il tizio del Circolo giorni dopo ci richiama dicendoci che Phil aveva ascoltato una canzone sul nostro MySpace e non poteva credere che facessimo così schifo, quindi ha chiesto espressamente di non volerci. Naturalmente noi a pezzi: possibile che le nostre canzoni erano tanto pietose? Poi ci ricordiamo del guaio e cioè che avevamo caricato da ubriachi Eat a mandarino sulla nostra pagina ufficiale MySpace come prima canzone. E così addio Phil. Però poi ci siamo incaponiti, l’abbiamo registrata con un’orchestra intera di archi e fiati e un coro di 20 persone ed è venuta fuori molto bellina: andatevela a sentire su The Spectaculis e diteci. L’abbiamo mandata pure a Phil, ci ha risposto “bella, ma ormai è troppo tardi”.
Da musicisti, cosa vi sentite di dire che manchi alla musica italiana attuale?
Crediamo che alla musica italiana manchi un po’ di coraggio. A volte sarebbe interessante uscire fuori dagli schemi. Ci spieghiamo meglio: l’Italia sta vivendo un momento florido dal punto di vista musicale, tutti vogliono scrivere, tutti lo sanno fare più o meno bene e alcuni lo fanno davvero alla grande. Ma a parte pochi casi isolati, tendiamo tutti ad assomigliarci. Che è una cosa giustissima, è normale che sia così, una scena musicale è proprio quello. Ma a volte sembra che per piacere al pubblico bisogna per forza seguire delle regole, delle leggi matematiche che sono una sicurezza di successo. Abbiamo visto da qualche parte un meme con le regole per scrivere la canzone indie perfetta. Ritornello strillato, titolo che non compare nel ritornello eccetera. Però ti fa capire come l’indie italiano abbia molta paura di rinnovarsi, almeno per il momento. Quindi forse sì, manca un po’ di sperimentazione, di gioco. Bisognerebbe osare di più. Anche perché le mode passano e la gente si stufa.
Domanda finale: cosa ne pensate delle uova?
Angela: Le uova mi piacciono molto. Una volta un tizio mi ha conquistato regalandomi un uovo sodo per strada. È stato il mio fidanzato per 6 anni.
Paolo: Ero io! Eravamo al concerto di Nek!