Di Ilaria Collautti
Foto di Liliana Gallo
La strada da casa alla venue di qualsiasi concerto è sempre caratterizzata dall’emozione per quel concerto, emozione che però triplica se si tratta del ritorno in Italia, dopo quasi un decennio di assenza, della storica band Underoath. Ad accompagnare i beniamini dell’emo, due band d’eccezione: i giapponesi Crossfaith e – solo per la prima delle due date italiane previste – i Blessthefall.E sono proprio quest’ultimi a dare inizio alle danze, in una Zona Roveri ahimè ancora inspiegabilmente vuota, che però non sembra penalizzare troppo la band; la setlist si apre con la nuovissima “Wishful Sinking” e si estende in un mix di pezzi recenti e più datati per mettere d’accordo tutti. Il gruppo capitanato da Beau Bokan risulta impeccabile, grazie anche alla presenza scenica del leader che spesso scende a salutare i fan in prima fila, ringraziando alla fine i presenti perché “L’unica cosa che conta è la musica, indipendentemente da quante persone ci siano qui davanti”. Alla faccia dei ritardatari!
Il premio “band rivelazione della serata” se lo aggiudicano però i Crossfaith, con un set esplosivo che evidenzia non solo le abilità tecniche ma anche la resistenza alle temperature estive di Zona Roveri e le capacità di coinvolgimento del pubblico – alzando l’asticella dell’esperienza live fin dal loro ingresso sul palco. Durante tutto il tempo a loro disposizione, i giapponesi deliziano i presenti con tutti i pezzi più amati del loro repertorio e una cover di “Omen” (originaria dei The Prodigy) che, a mio parere, è risultato essere l’highlight del loro set. Set che forse si conclude non nel migliore dei modi, con i fan che pregano la band di suonare “Photosphere” – unica grande assente della serata – ma che non vengono accontentati, reagendo con un “Noooo” di delusione quando i Crossfaith annunciano che a chiudere il live sarà “Leviathan”.
Personalmente non è una band che incontra il mio gusto, ma che goduria vederli suonare dal vivo!
Quando ormai è tempo degli attesissimi Underoath, il pubblico è già cotto a puntino e pronto per dare il meglio di sé sulle note di “On My Teeth” – che come opener funziona. Nonostante il tour pubblicizzi il nuovo album Erase Me, gli Underoath ci offrono un buon mix di pezzi, andando a ripescare anche quelli più vecchi e più amati, dove di certo si registra il picco di coinvolgimento e cori dei fan. Nonostante avessi qualche riserva sui pezzi nuovi, la band è in ottima forma e ce li fa apprezzare tutti – addirittura “No Frame” che avevo bocciato all’ascolto del disco ma che live è una vera chicca, da brividi!
Il set continua nel migliore dei modi con “Reinventing Your Exit”, una delle mie preferite per aver segnato la mia adolescenza, e con “Paper Lung”, introdotta da un toccante discorso del frontman Spencer riguardo l’abuso di droghe, il break-up della band, la depressione e il rehab. Ma purtroppo tutte le cose belle prima o poi finiscono, e così anche uno dei concerti più attesi dell’anno giunge al termine, non prima però di farci sentire uno dei pezzi più bramati dai presenti; partono le prime note di “Writing on The Walls”e i fan esplodono per l’ultima volta, dimostrando agli Underoath che non li hanno mai abbandonati in questi anni.
Nel complesso è stata una serata più che riuscita, che tre band impeccabili che non hanno deluso, ma anzi hanno divertito e appassionato; insomma, una di quelle serate che difficilmente sono eguagliabili sia per quanto riguarda l’impatto emotivo, sia per la qualità della performance.