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REVIEW: “The Ghost Friend” by The Ghost Friend

di Alessandro Mainini

Un buffo personaggio politico degli anni ’90 divideva l’Italia in due parti: sopra il Po tutti padani, sotto il Po tutti “meridionali” (diciamo così). La scena pop punk italiana, storicamente poco interessata alla politica, divide curiosamente il Paese con lo stesso criterio geografico, ma con una sostanziale differenza: sopra il Po tutti prodotti da Fabrizio Pan, sotto il Po tutti prodotti dai Why Everyone Left.

I The Ghost Friend sono di Torino, quindi potrebbero potenzialmente rientrare in entrambe le aree di influenza, ma sospettiamo che la vicinanza abbia fatto propendere per il buon Pan al momento di scegliere il produttore –i Melody Fall sono notoriamente torinesi. Il loro primo EP self-titled è uscito per This Is Core e contiene sei pezzoni tirati da sentire tutti d’un fiato.

La prima traccia si intitola I’m Back, come la recente citazione di Schwarzenegger che a sua volta ha fatto il verso a sé stesso in Terminator. L’incipit aggressivo si intonerebbe perfettamente con un film della “Austrian Death Machine” (Tim Lambesis, vuoi i credits?), anche se il ritornello si ammorbidisce per diventare molto catchy con un deciso sapore di metà anni ’00; immaginate una hit dei Jimmy Eat World ma con chitarre più succulente.

A seguire, creando un bel gioco di continuità concettuale, Back to Heaven, potenziale contraltare alla traccia d’apertura che dice “I’m back to the hell”. Il sound prosegue sulla scia nostalgica inaugurata dal brano precedente, con assoli di chitarre in puro stile punk rock che avrebbero fatto furore all’epoca di Napster e un pre-chorus reminiscente dello stile a cui i Fall Out Boy devono la loro iniziale fama. Il collage di influenze crea suggestioni interessanti, anche se la canzone non raggiunge il livello di godibilità dell’opener dell’EP. Il terzo pezzo One Fucking Minute dura tre cazzo di minuti. Highlight del brano è senza dubbio il ritornello quasi ballabile (dance, dance) che rende la canzone un potenziale b-side di Danger Days.

La traccia seguente Fulfix invece merita un discorso tutto a parte. Il riff di chitarra quasi blues che apre il pezzo, sporcato ma non snaturato dalle distorsioni hard rock, è uno dei momenti più particolari e inaspettati dell’EP. Vero protagonista del pezzo però è il testo: dovete sapere che FulFix è un prodotto per capelli che promette miracolose (quanto improbabili) ricrescite, e che la band nasce, oltre che per i gusti musicali in comune, anche grazie alla “calvizie incipiente” condivisa dai suoi membri. Ecco allora che il testo dove si parla di perdita, mancanza, caduta, addii senza ritorno prende tutta un’altra piega quando nel ritornello i gang vocals urlano “FULFIX!” a tutto volume. La goliardia è da sempre un elemento cardine del punk rock, e in questo caso non può che strappare consensi in favore della canzone, facendo passare in secondo piano un inglese rivedibile.

Goodbye si apre con un riff che i New Found Glory avrebbero portato al successo su Sticks and Stones, e continua su melodie che avrebbero dovuto portare al successo una band come gli Amber Pacific (rip) se nel mondo ci fosse giustizia. Naturalmente promozione a pieni voti per un ritornello così retrò e catchy arricchito dalle chitarre emotional che non hanno paura di nascondersi nel mix. Mi piacerebbe che Hard Times Tattoo fosse un riferimento al bellissimo sito di satira Hard Times (il Lercio del punk rock, o l’Hardcorella Duemila potenziato), invece è verosimilmente un riferimento all’omonimo centro per tatuaggi torinese (rip #2). La traccia è a sorpresa una ballad, discostandosi quindi parecchio dal sound del resto dell’EP, ma non stona affatto nell’insieme e anzi conferisce al lavoro un efficace senso di closure.

The Ghost Friend è un EP veloce, divertente e scanzonato, ma allo stesso tempo sonicamente ricco di influenze, richiami e personalità propria. I fan del punk rock più classico ci troveranno 5+1 canzoni da ascoltare con una birra in mano; i fan del pop punk ci troveranno una miniera di rimandi alle band che hanno scritto la storia del genere 15 anni fa; persino i fan dell’emo ci troveranno quelle chitarre tanto belle che sono purtroppo sparite nel panorama attuale. Una commistione di stili che non crea confusione ma piuttosto dà sfogo alla vena creativa e nostalgica di un ottimo EP d’esordio.

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