di Alessandro Mainini
Il ponte dell’8 dicembre è una grande invenzione. In generale, perché si sta a casa da scuola o dal lavoro, ma quest’anno in particolare, perché mi ha dato la possibilità di volare per l’ennesima volta in Inghilterra a vedere la mia band preferita (quantomeno tra quelle ancora in attività) aka Silverstein per ben due date, le prime del tour UK, a Southampton e Brighton. Proprio a Brighton ho scambiato due parole con Paul Koehler, batterista nonché manager della band, per parlare del nuovissimo disco Dead Reflection e di altri argomenti come la vita in tour e l’attualità della scena musicale.
Per iniziare mi interessa sapere quali sono state le vostre impressioni sul For the Fans Tour che avete fatto in Germania recentemente, con ben 14 date nel Paese, che forse è una cosa che non fanno nemmeno le band tedesche. Quali sono stati gli highlight del tour e quali gli aspetti meno positivi, se ce ne sono stati?
La cosa bella è che tutte le date sono andate sold out! E poi abbiamo suonato in locali più piccoli di quelli in cui di solito ci esibiamo, per cui i fan che sono venuti a vederci hanno potuto partecipare a un’esperienza molto più intima. Credo che sia servito a cementare ulteriormente il nostro rapporto con la Germania e con i fan tedeschi.
Quali sono gli oggetti essenziali che devi assolutamente avere in tour? E quali sono le cose che vorresti portare ma che non puoi?
Il caricatore del telefono e del computer e tutte le batterie esterne portatili, perché in tour fai fuori la batteria come non mai. E poi i vestiti adatti per ogni occasione, visto che spesso si affrontano climi diversi. Quando si arriva al locale spesso si è da soli, per cui se devi uscire per andare da qualche parte devi andarci a piedi o col tram, e in quel caso devi essere sicuro di aver portato tutti i vestiti adatti al clima che c’è fuori. Le cose che non si possono portare… beh, i propri cari! Quella è la cosa principale che purtroppo non si può portare. Per quanto riguarda gli oggetti, basta portare l’essenziale.
Il vostro ultimo album Dead Reflection è uscito 5 mesi fa e la risposta da parte dei fan è stata particolarmente positiva. Cos’è cambiato nel processo di songwriting e di registrazione rispetto all’album precedente, I Am Alive in Everything I Touch?
In realtà è cambiato proprio tutto: abbiamo registrato presso uno studio diverso, abbiamo lavorato con un team di produzione diverso… per cui abbiamo davvero adottato un approccio nuovo. Rispetto ad I Am Alive in Everything I Touch direi che è stato un processo molto più elaborato e che ha richiesto uno sforzo e un impegno molto maggiori, ma proprio per questo siamo particolarmente soddisfatti di come sia uscito il disco. In questo tour peraltro non stiamo suonando molte canzoni dal disco precedente, ma il motivo è che i fan che ci hanno visti nei tour recenti hanno già avuto l’occasione di sentire dal vivo buona parte delle canzoni di quell’album, quindi per stavolta abbiamo preferito concentrarci di più sulle canzoni di Dead Reflection e su altri pezzi del repertorio passato.
A livello di testi, Dead Reflection è un disco molto più personale dei precedenti. Credi che questo abbia contribuito a farlo apprezzare di più tra i fan perché ascoltandolo ci si può riconoscere nelle situazioni descritte? O credi che l’aspetto musicale sia comunque più decisivo nel gradimento di un album?
È una cosa che varia molto da persona a persona, secondo me. Ci sono persone che danno molta più importanza ai testi così come persone che danno più importanza all’aspetto della produzione, per cui credo che entrambe le cose alla fine siano fondamentali e contribuiscano al successo dell’album.
Qual è il motivo principale per cui una persona dovrebbe assolutamente ascoltare Dead Reflection? Che cosa si perde uno che non lo ascolta?
Se una persona era già fan della band, quest’album è proprio drasticamente diverso da tutto quello che abbiamo fatto in precedenza, e sono abbastanza sicuro che ascoltandolo si possa rimanere sorpresi. E credo che proprio per la diversità che è entrata in questo disco, anche una persona che non era fan della band in precedenza possa trovare sicuramente qualcosa che la possa catturare.
Qual è il più grande rimpianto nella tua carriera musicale finora, se ce n’è uno?
Beh, sì, sicuramente può capitare di avere dei rimpianti: a volte si prendono delle decisioni che poi si rivelano sbagliate… sto pensando soprattutto a scelte riguardanti alcuni tour che decidi di accettare o di non accettare, o magari anche a certe decisioni stilistiche intraprese nel corso della carriera. Alla fine ci sono alcune scelte che ogni band deve prendere per proprio conto, e non sempre il risultato è quello che ci si aspettava.
Avete cambiato etichetta un paio di volte durante la vostra carriera. A parte l’esperienza con Victory Records, come paragoneresti l’esperienza con Hopeless Records e quella con Rise Records finora? Cosa c’è di simile e di diverso fra le due etichette?
Si tratta di due etichette completamente diverse, sia per quanto riguarda il roster, il genere su cui si focalizzano maggiormente, sia per attitudine, sia per business statement. Certo, si può dire che siano due facce di una stessa medaglia [intende che fanno entrambe parte della stessa “scena”, NdR], però l’approccio in generale non ha nulla di paragonabile.
Nelle ultime settimane sono affiorate numerose storie riguardanti abusi sessuali anche all’interno della nostra scena. Ci sono band che hanno deciso di allontanare i propri membri oggetto di accuse, mentre altre band hanno ignorato le allegations o hanno minacciato di intraprendere le vie legali. Qual è la tua opinione su questo argomento e credi che la nostra scena abbia un problema?
Beh, sì, chiaramente ci sono dei problemi ed è una situazione preoccupante. Mi sentirei di dire che forse, visto anche il fatto che sono uscite tutte queste accuse di recente, qualcuno può essere preoccupato che sia un fenomeno molto più diffuso di quanto in realtà non sia; magari non è davvero così, però è davvero difficile dirlo con certezza. Credo che la cosa importante sia dare la possibilità alle persone di parlare senza timore, perché è una situazione davvero complicata, ma bisogna fare in modo di aumentare notevolmente la consapevolezza di ognuno su questo argomento, e cercare di educare soprattutto le nuove generazioni in vista del futuro.
Visto che siamo a dicembre, quali sono i dischi della tua top 3 quest’anno?
Io a dire il vero ascolto un genere solitamente abbastanza diverso da quello che suoniamo e di cui facciamo parte. Quest’anno uno dei dischi più belli per me è stato sicuramente quello dei The War on Drugs (“A Deeper Understanding”). Poi direi quello di Julien Baker (“Turn Out the Lights”), che ha davvero fatto un disco incredibile, soprattutto se si pensa che l’ha scritto e prodotto da sola. E infine direi gli Slowdive (“Slowdive”).
Ultima domanda: cosa ne pensi delle uova?
Beh, io sono vegano, quindi direi che non sono un particolare fan delle uova [ride]. Facciamo così: rispondo con un “no comment”!