han the children

REVIEW: “HÅN – The Children” by HÅN

di Alessandro Mainini

han the children

 

Se leggi il nome HÅN potresti pensare che si tratti di quell’artista indie scandinavo partito in automatico dopo i Sigur Rós mentre ascoltavi la playlist Productive Morning di Spotify e che ti eri poi dimenticato di approfondire. Invece HÅN è una ragazza del bresciano che si sta facendo strada nell’ambiente alternativo italiano con la sua musica definita sui canali ufficiali “dark pop”, e che è in realtà difficile da spiegare soprattutto per chi come me solitamente frequenta altri lidi musicali.

Quello che posso dire delle sue canzoni è che sono contraddistinte da tre elementi chiave che le rendono piacevoli all’ascolto: le atmosfere sognanti e un pizzico nostalgiche, la voce delicata –a tratti quasi distaccata– che si fonde con le melodie invece di imporsi su di loro, l’intelaiatura di synth che indirizzano il mood dei brani e che sanno lasciare alla voce il suo spazio quando devono affiancarla.

Per una bizzarra coincidenza ci eravamo incontrati a un suo concerto a Londra lo scorso luglio, e l’artista ci aveva raccontato le prime sensazioni dopo il buon successo riscosso dal suo singolo d’esordio, e i progressi fatti con le nuove canzoni allora inedite. Ora, cinque mesi dopo, HÅN si prepara a pubblicare il suo primissimo lavoro, un EP di 4 tracce (più 4 remix) intitolato HÅN – The Children, che esce per Freecom Music e Factory Flaws.

L’opener Intro è effettivamente un’introduzione all’EP, ma solo per i primi 2 minuti del brano: poi la traccia si tramuta in una canzone vera e propria, e direi anzi un’ottima canzone, che è quasi un peccato finisca così in fretta. È peraltro il pezzo più ritmato dell’EP, e forse non è un caso che sia l’unico a non aver avuto il remix-treatment, dato che è già ballabile così com’è in qualche circolo underground. Da ascoltare mentre si è in fila per il cocktail al bar di una discoteca alternativa di Milano.

The Children, a cui sull’EP si è aggiunto il sottotitolo I See No Home, è il singolo già noto che ha lanciato HÅN e che ha trovato un buon riscontro di pubblico anche all’estero grazie alle playlist di Spotify. È la canzone più sognante e melliflua dell’EP, con le sue atmosfere influenzate dalle foreste e dai paesaggi nordici a cui molta della produzione di Hån si ispira. Da ascoltare mentre si lascia con il pullman l’aeroporto di Stoccolma Skavsta sperduto nelle foreste di pini svedesi.

La terza traccia, 1986, anch’essa già pubblicata in precedenza, è forse la canzone più “tradizionale” dell’EP, ma è decisamente la più memorabile. Ritmo alt-pop come va di moda adesso, in realtà i synth in sottofondo danno alla traccia un tocco quasi orientaleggiante. Per la cronaca, il 1986 è l’anno in cui si sono conosciuti i genitori di HÅN. Da ascoltare mentre si sorseggia un infuso in una tea room moderna durante un pomeriggio piovoso, possibilmente seduti vicino alla finestra.

L’altro inedito del disco è Hands. La ripetizione di “around/down and around and around” rende la canzone catchy quanto basta per fartela entrare in testa anche al primo ascolto. È quanto di più vicino ci sia ad una ballad su questo EP, e termina perfettamente il disco con il suo flow da closure. Da ascoltare alla fine di un party in casa quando si riaccendono le luci e metà della gente è già addormentata sui divanetti.

L’EP è completato da 4 versioni rivisitate da artisti elettronici italiani dei pezzi precedenti, Intro a parte (mentre 1986 è così bella che si è meritata due rielaborazioni diverse). Senza aggiungere troppo a quello che il disco ha da dire, questi remix imprimono una spinta un po’ più ballabile alle canzoni, che hopefully potrà servire a dare a HÅN una spinta in più in qualche discoteca underground.

BEST TRACK: 1986, se non si fosse capito.
VOTO: 8/10

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