di Michela Rognoni
*Suuuuuunshiiine* è l’unico modo possibile per iniziare a parlarvi dell’In Fest, il festival più caldo dell’estate perché effettivamente c’era troppo sole e ci si scioglieva sull’asfalto appena fuori dal parco. E pensare che ci sono dei pazzi che hanno passato lì la notte, regaz non so come ce l’abbiate fatta a farcela, vi stimo molto. Fa ridere che il tipello con la maglia bianca all’ingresso (che saluto moltissimo) alla mia richiesta tipo “devo fare le foto ai Roam che iniziano tra 5 minuti e ci sono sei kilometri di cosa, come possiamo agire?” ha risposto “eh dovevate arrivare prima” Prima tipo l’11 giugno?. Questo per dire che io non me l’aspettavo tutta questa affluenza già nel pomeriggio, bravi!

Riusciamo a entrare quando i Roam sono già al loro secondo pezzo, non possiamo vederli (perché dobbiamo precipitare a fare una cosa segreta che scoprirete fra qualche settimana) ma possiamo sentirli. E in linea di massima ci sembrava stessero spaccando più del previsto, più di quando li abbiamo visti con gli Against The Current nello stesso posto, ma sul palco dell’inverno. Insomma che si parte bene, le premesse sono ottime.
Le prime quattro band della giornata suonano sul palco piccolo, ed è proprio lì che ci dirigiamo per vedere gli As It Is. Fa caldo esattamente come quella sera al Legend, però siamo all’aperto, c’è più spazio d’azione e c’è l’acqua gratis (mica come agli i-Days ).

Questa volta però Party Walters e i suoi amici non mi sono sembrati troppo carichi, complice una scaletta un po’ random: belli i pezzi, ma non in quell’ordine lì. Belli anche i matching outfits, peccato che fossero dello stesso colore del tendone che copriva il palco. Un’esibizione rovinata dall’estetica? Anche. Di sicuro, musicalmente parlando non al livello delle altre volte (a parte quella volta alla Tenda, quella è stata pessima e siamo contenti che siano migliorati così tanto).

Degli Issues so solo che sono la band di Tyler Carter che è quello degli Woe is Me (e aveva delle calze megabelle), però in realtà non so chi sia Tyler Carter e degli Woe, is Me sapevo una canzone che però era la cover di Ke$ha. Ragazzi scusatemi, sono troppo pop per il metalcore. Il pubblico però sembrava apprezzarli molto, e loro sul palco si muovevano un sacco. Il chitarrista aveva delle scarpe orrende ma sembrava preso benissimo. Alla fine mi sono divertita a guardarli quindi bella per tutti direi, no? Gioca a loro sfavore l’assenza della sigla dei Pokémon nella loro scaletta e tutta la backline non a tema Pokémon come quella che ci avevano mostrato al Warped Tour dello scorso anno.
I Crown the Empire mi dispiace ma li ho saltati a favore della pizza del Magnolia. Buonissima voto 10.

È giunto il momento di cambiare prospettiva e appropinquarsi al palco grande. Il sole sta calando ma Derek Discanio non se ne accorge e sale sul palco con gli occhiali da sole. Si ricorda anche lui del caldo de cristo che faceva al Legend e facendo 2+2 giunge alla conclusione che la colpa sia tutta del supercaloroso pubblico milanese. Per voi invece di chi è la colpa: degli State Champs o degli As It Is? Difficile a dirsi…
La scaletta è sempre la solita, ma un po’ ridotta, l’unica “novità” è la nuova Slow Burn che dal vivo piega. La band fa un’ottima performance che però, come al solito, è più o meno tutta sulle spalle del frontman. Ogni volta che li vedo mi convinco sempre di più che lui faccia il 90% della band.

Ho sentito dire da un paio di Sleeping With Sirens che “la voce di Kellin non era mai stata così matura” e mi rendo conto che è vero perché al primo ritornello di “If You Can’t Hang” mi è caduta a terra la mascella e ho faticato a raccoglierla. Tutto il resto della performance l’ho passato a pensare “ma che cazzo di problemi avevo a non ascoltarli?”. E niente basta, mi sono innamorata. Strepitosi, che altro dovrei dirvi? Ah sì, che comunque non è stata la miglior esibizione della giornata perché…

I Pierce The Veil sono stati insuperabili. Tutto perfetto, performance, suoni, scaletta, voce, coriandoli. Si parte con Texas is Forever e si va avanti senza fermasi un attimo. Una bella selezione di brani vecchi e nuovi che non lascia scontento nessuno, a parte le ragazze che volevano salire sul palco su Bulletproof Love, grande assente della serata. Noi diamo il meglio di noi stesse su Hold On Til May (inno di quando andiamo allo Slam Dunk since 2013) e su Caraphernelia; Kellin Quinn dà il meglio di se su King For a Day BOOM sorpresona! Si può finire un concerto con più feels di così?
Trenino celebrativo e poi tutti a nanna che il giorno dopo o si lavorava o si andava al day 2. Indovinate questa sfigata cosa ha dovuto fare?
Rivivi i momenti migliori del concerto grazie alle foto della nostra Gallery!