di Michela Rognoni
I Light Years vengono da Cleveland, Ohio, e sono una pop punk band che non vuole suonare come una pop punk band, ed è proprio questo che li porta a spaziare, a prendere ispirazione da tutto ciò che li circonda, arricchendo così il proprio sound.
Questa loro caratteristica risulta evidentissima nel loro secondo full lenght, “I’ll See You When I See You”, uscito il 13 Novembre via Rude Records.
Il titolo è enigmatico perché la vita lo è. Non si sa mai cosa potrà accadere, non si può avere la certezza di niente e questo è un po’ il filo conduttore del disco, che in realtà un filo conduttore non ce l’ha, è semplicemente una raccolta di brani diretti ed onesti.
La band suona più decisa rispetto al disco precedente, sembra aver trovato la propria strada e si sente a proprio agio con questo sound.
L’unico difetto del disco forse è che la prima metà è più interessante della seconda: si parte a bomba con “Are You Sure?”, si arriva al climax con “The Summer She Broke My Heart” ma poi tutta questa energia, questo entusiasmo cala un po’ soprattutto nelle ultime tracce “Lost Ground” e “Funeral”, che risultano un po’ piatte. La traccia di chiusura “I Wish I Could” risolleva un po’ il morale dimostrandosi più strutturata ed interessante.
Ma sono brani come “Rearview” ed il singolo “Living In Hell” ad alzare il livello, risultando tra i migliori pop punk anthem dell’ultimo decennio. I riff catchy e la batteria veloce dona al tutto giusto quel pizzico di blink 182 (anzi, voglio esagerare, di +44) che lo rende old school e moderno allo stesso tempo; complice forse anche la produzione con quel retrogusto analogico, ovattato, “fuzzy” che non mi viene in italiano.
Le canzoni parlano di argomenti ordinari e familiari a chiunque, amore, cuori spezzati, le solite cose insomma ma è il modo schietto, intelligente, rassegnato ed insieme speranzoso a renderli degni di nota.
Cito un “Accident” per darvi un idea “Starting to see I’m just a bad seed/that won’t grow into anything”.
”I’ll See You When I See You” non vuole seguire qualche moda del momento e non cerca in tutti i modi di essere rappresentativo di un genere specifico (infatti non ci sono breakdown a caso, che bello) e proprio per questo non risulta “generic” ma divertente, sincero e con una buona dose di nostalgia catartica che fa sempre bene.
4/5