Interview with All Time Low (Press Conference)

di Michela Rognoni feat. Sara Cavazzini
all time low
Aim A Trabolmeicher ha una storia molto strappalacrime che riguarda gli All Time Low. In effetti se esistiamo noi è perché esistono loro, nel senso che senza di loro non ci saremmo mai conosciute e voi stareste gioendo. Questo per dire che il livello di fangirlamento è veramente alto; dopotutto, come vi sentireste voi avendo l’opportunità di chiacchierare con la band di cui non vi siete persi una data italiana dal 2010 ad oggi?

La band è in Italia per un’unica data, al Fabrique di Milano, venue più grande, ma di nuovo tutto esaurito. E tra non molto uscirà Future Hearts, sesto lavoro in studio della band, primo prodotto da John Feldmann – esperienza positiva e stimolante a detta della band– di cui abbiamo avuto il piacere di pre-ascoltare cinque brani; alcuni di essi ci hanno colpite positivamente, altri ci hanno ricordato la colonna sonora di Frozen, altri ancora ci sono sembrati un po’ troppo folk per i nostri gusti, ma sicuramente tutti sono riusciti ad incuriosirci.

Non c’è dubbio che Future Hearts apporterà un grosso cambiamento nel sound della band: “mentre scrivevamo Don’t Panic, avevamo qualcosa da dire (…) molte persone pensavano che gli All Time Low si fossero dimenticati come essere gli All Time Low della vecchia scuola, quindi volevamo fare un disco che dimostrasse il contrario. Con questo disco invece sentiamo di avere via libera per provare qualcosa di nuovo, non vogliamo continuare a fare sempre lo stesso disco, diventa noioso.

Dopo così tanti anni di carriera l’intento di una band non può essere altro che crescere, evolversi, perfezionarsi rimanendo però consapevoli della strada da seguire:

“sappiamo chi sono gli All Time Low e cosa fanno gli All Time Low e vogliamo rimanere fedeli a noi stessi”.

Tutto questo anche dopo dieci anni passati insieme come band che vanta la qualità di non essere mai passata attraverso cambi di line up, cosa che è sicuramente stata determinante soprattutto nel delicato passaggio dall’ essere una band per il piacere di esserlo al fare di questa band la propria carriera.  

Per una band così legata al proprio pubblico sembra scontato che il materiale prodotto in studio debba essere strettamente legato alla performance dal vivo, tanto da pensare ad essa fin dal momento della scrittura dei brani: Penso sempre a che tipo di canzoni potremmo scrivere per aggiungere qualcosa di bello ai nostri show, in questo disco infatti ci sono canzoni acustiche o un po’ più lente, o più elettroniche proprio perché non abbiamo mai provato ad avere momenti del genere nei nostri set e pensiamo sia bello averne” spiega il frontman Alex Gaskarth.

Tra le poche cose che sappiamo di Future Hearts spiccano le collaborazioni di artisti del calibro di Mark Hoppus (blink 182) e Joel Madden (Good Charlotte, The Madden Brothers), ma la discografia della band è costellata di collaborazioni con nomi più o meno grandi – a partire da Juliett Simms (Automatic Loveletter) nella ballad “Remembering Sunday” fino ad arrivare a Cassadee Pope in “Backseat Serenade”, ma anche Vic Fuentes (Pierce The Veil) in “A Love Like War” – collaborazioni spontanee nate soprattutto per caso, più per puro divertimento che per questioni di visibilità: “Credo che molta gente abbia un’idea sbagliata di come nascono le collaborazioni tra artisti, pensano magari che i loro manager si mettano in contatto molti mesi prima…” sospetta Rian (Dawson –batteria) “Spesso questa dinamica viene usata come strumento di marketing, come modo per far arrivare più facilmente una canzone in radio, ma per noi non è mai stato così, per noi l’importante è sempre stato lavorare con i nostri amici” ci rivela Alex.

Ad aumentare l’attesa per l’uscita del disco ci pensano i due singoli estratti, già disponibili sulle piattaforme online: “Kids in The Dark” e “Something’s Gotta Give” il cui video ha già quasi raggiunto i 3 milioni di visualizzazioni su YouTube e che sta passando addirittura sulle TV tematiche, cosa da non dare per scontata di questi tempi, come ci confermano i ragazzi: “In realtà non facciamo più dei video per la TV, è Internet ormai il principale luogo in cui i nostri fan guardano i video, ed è questo che teniamo a mente quando li facciamo e solo poi cerchiamo di fare in modo che funzionino anche per la TV”. È innegabile che in questo decennio molte delle dinamiche relative all’industria musicale siano cambiate velocemente ed irreversibilmente con la diffusione di internet e dei social media che lo dominano, facendo parte della generazione nata proprio su questo tipo di mezzi, la band non può che dimostrarsi favorevole all’utilizzo delle nuove piattaforme come Spotify o Pandora (così come il già citato YouTube) per diffondere la propria musica, ne analizzano i pro e i contro, ma poi ci convincono della loro posizione “quando eravamo ragazzini scoprivamo le band grazie alle compilation di Fat WreckChords ecc. ora queste cose sono state rimpiazzate da Spotify e Pandora, ti basta schiacchiare play ad esempio su “All Time Low Radio” per essere rimandato ad artisti simili”.

L’impressione che ci danno, seduti scomposti sui divani proprio davanti a noi, è che la fama non li abbia per nulla scalfiti e che anzi siano rimasti umili, esuberanti e capaci ancora di stupirsi per i risultati che di volta in volta raggiungono: sono felici di essere tornati in Italia, ma sono ancora più felici del sold out sul palco più grande che abbiano mai calcato nel nostro paese (festival esclusi ovviamente):

“In molte delle città dove andiamo suoniamo sempre nella stessa venue, il che è fantastico, ma qui in Italia stiamo proprio vedendo i nostri fans crescere, moltiplicarsi ed ora tornare qui e scoprire che ci sono 2000 persone è davvero gratificante”.

Stanno dicendo questo dopo il gigantesco tour nel Regno Unito insieme agli You Me At Six, di cui ogni data contava sicuramente molto più di 2000 persone: “Noi non siamo una di quelle band che è diventata famosa grazie ad una canzone spinta in radio fino all’inverosimile, credo sia per questo che arrivare a suonare in posti così grandi ci da un enorme riconoscimento per ciò che abbiamo ottenuto”. Nonostante ciò sono rimasti a bocca aperta vedendo il nostro Fabrique, felici soprattutto per i fan italiani – apprezzatissimi per il loro perdere la testa ai concerti della band – che avrebbero potuto per una volta non farsi male contro le transenne (cosa che in realtà è successa) e riuscire tutti a vedere la band.

Ma se l’Italia è sempre un luogo piacevole in cui venire a suonare, la loro hometown Baltimora è un luogo piacevole in cui tornare e da cui prendere spunto per scrivere nuove canzoni. ”Baltimora è una di quelle città di cui se ci vivi ne sei estremamente orgoglioso…ma se non ci vivi non ci vorresti mai andare” scherza Jack (Barakat – Chitarra). ”Non è una città molto amata, è famosa per The Wire, per l’eroina e per gli assassini, ma in realtà non è niente di tutto questo… se sei di Baltimora sei superorgoglioso delle sue buone qualità e di quanto è bella. Ho passato molto tempo a barcollare ubriaco per strada…ci sono cresciuto, sono andato al liceo, ci vivo tra un disco e l’altro, ci sono un sacco di cose belle e brutte, un sacco di storie che possono diventare canzoni” aggiunge Alex. ”Non ci sono molte band di Baltimora che ce l’hanno fatta” puntualizza Rian, nonostante l’attività nella scena musicale di questa città sia stata determinante per il successo della band: “Quando abbiamo iniziato noi le band non mettevano i propri video su YouTube come succede adesso, in quel periodo ci organizzavamo da soli i nostri concerti, giravamo per le venue (…) noi e le altre band avevamo creato una specie di scena, nei week end le band si incontravano e suonavano e la gente veniva a sentirci e questo ha attirato l’attenzione delle etichette, delle band che venivano da fuori e da lì abbiamo avuto l’opportunità di crescere”. Ed è proprio questo che la band si sente di consigliare alle nuove generazioni di musicisti, nonostante, come abbiamo già detto, i tempi siano cambiati molto e sia più facile farsi notare su YouTube, bisogna suonare, incontrare altre band e fare dei tour insieme, creare una scena, perché alla fine è il live che fa la differenza.

A proposito di live, ciò che ci si chiede sempre immediatamente dopo ogni concerto di ogni nostra band del cuore è “chissà quando torneranno?”. In questo caso è facile dare una risposta: gli All Time Low saranno di nuovo in Europa a Giugno per promuovere il loro Future Hearts, cercheranno di suonare nei posti in cui non sono riusciti a suonare durante questo tour e parteciperanno ai grandi festival. Le date saranno presto annunciate quindi non ci resta che sperare.  

Grazie a Penny, a Rude Records, alle pizzette e alle focaccine.

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