Di Denise Pedicillo
Esce oggi per Island Records “American Beauty/American Psycho”, l’attesissimo (e forse sopravvalutato) sesto album dei Fall Out Boy, a quasi due anni di distanza dal precedente lavoro.
Se già Save Rock and Roll vi aveva fatto storcere il naso e vi aspettavate un cd degno del nome dei Fall Out Boy, questo album non fa per voi.
Pete Wentz descrive il nuovo materiale come un esperimento in cui si mischiano pop-punk e pop-rock, noi preferiamo dire che la band ha seguito quella direzione elettro-pop presa da qualche anno a questa parte da tutte quelle band una volta (o tuttora) collegate alla Fueled By Ramen (Panic! at the Disco e Cobra Starship solo per citarne alcune).
Maturando si sono, ovviamente, discostati dal background che li caratterizzava nei primi anni 2000 ma a volte sembrano dare l’impressione di essere confusi e non sapere dove stiano andando; strutturalmente l’album è coeso ed è calibrato per essere suonato nelle grandi arene – anche se qualche chitarra in più sarebbe apprezzata – ma musicalmente sembra un seguito del progetto solista di Patrick Stump più che un lavoro firmato Fall Out Boy.
Caratteristica principale dell’album e delle tracce in esso contenute sono i continui richiami a film, libri e canzoni: il titolo ”American Beauty” è un chiaro riferimento al film (1999) e all’album dei Grateful Dead, mentre “American Psycho” prende spunto dall’omonimo film (2000) e dal libro di Bret Easton Ellis.
Premesso ciò, l’album sembra quindi dividersi in due: la prima parte è quella, a mio parere, “beauty” dove le canzoni sono più movimentate e ritmate e anche se sembrano degenerare, hanno quel qualcosa da offrire.
Le prime 5 tracce sono quindi in ordine, “Irresistible” in cui si fa riferimento ad una storia d’amore (più precisamente quella tra il bassista Sid Vicious e Nancy Spungen), la title-track “American Beauty / American Psycho” che contiene un campionamento di “Too Fast for Love” di Motley Crüe’s, “Centuries” che vede la partecipazione della pupilla di Wentz, Lolo, in un sample di “Tom’s Diner” by Suzanne Vega, per poi passare a “The Kids Aren’t Alright” che tra un fischiettio e l’altro è forse l’unica canzone che sembra uscire da un vecchio repertorio dei FOB, e infine “Uma Thurman” che è la traccia più catchy dell’intero album, forse merito anche della sigla di The Munsters.
Da qui in poi l’album diventa piatto, con poche cose da dire e con canzoni che seguono più o meno tutti la stessa linea melodica e purtroppo neanche la bravura di Patrick Stump alla voce riesce a dare quella marcia in più per far rimanere in testa la canzone.
Alcune persone lo ameranno, alcune l’odieranno, io penso che piuttosto di scrivere questo album avrebbero potuto concentrarsi sul tour dei 10 anni di From Under The Cork Tree.
Best Track: “Uma Thurman” – “American Beauty/American Psycho”
VOTO: 2/5