Slam Dunk South @ The Forum, Hatfield 25-05-14

Di Denise Pedicillo e Sara Cavazzini
SLAM DUNK 2014

Come ogni anno – ma da soli due anni – migriamo come le rondini in autunno e andiamo in quel luogo grigio e piovoso che si chiama Londra.

Il motivo? Il festival che ormai dal 2006 vede alternarsi su diversi palchi artisti pop-punk, metalcore, e chi più ne ha più ne metta.

Dopo mille peripezie arriviamo alla Hatfield University, campus universitario nel sud del Paese, che vede un totale di cinque palchi e svariati stand per merch e signing session.

Come al solito ci dividiamo perché, si sa, passiamo le serate a dividerci per esserci in tutti i concerti possibili per poi fare queste penose recensioni senza sapere nemmeno scrivere in italiano.

Light You up

Il primo gruppo che vediamo sono i Light You Up, band di Birmingham alla loro prima comparsa in questo festival.

La scaletta che propongono è breve e tratta quasi interamente dal loro EP “Broken Jaw”; tra i brani ricordiamo “Foxfire”, “Without You Here”, la semi-acustica “Lifebox” per poi passare alla title track “Broken Jaw” e alcuni pezzi nuovi, quindi a noi ignoti.

Blitz KidsIn contemporanea sul Main Stage ci sono i Blitz Kids, presenti per il secondo anno consecutivo, che baciati dal sole iniziano a scaldare la folla con i loro pezzi più conosciuti, iniziando con “All I Want Is Everything” per poi proseguire con “Run for Cover”, “Perfect”, “Sold My Soul” e “Keep Swinging” dal loro ultimo album The Good Youth.

La band suona bene e riesce a coinvolgere tutto il pubblico (che poi, insomma, guardate che belli, come si fa a non essere coinvolti?). In quanto prima band a salir sul palco ovviamente la scaletta è ridotta e il loro set si chiude con “Never Die”, “Sometimes” e “On My Own”.

Ed ecco il turno degli attesissimi Modern Baseball, band di Philadelphia che dopo l’ultimo album “You’re Gonna Miss It All” ha fatto il boom già preannunciato con il precedente “Sport”, un successo così improvviso tanto da cambiare la visione della corrente emo attuale.Modern Baseball

Per la loro esibizione il locale si riempie in modo spropositato; sono forse loro la band che riempie lo stage Atticus più di qualsiasi altra salita sul palco fino ad ora. La carica è alta soprattutto con i brani del loro ultimo lavoro, forse il più noto al pubblico presente: “Broken Cash Machine”, “Rock Bottom”, “Charlie Black”, ma di certo anche i brani un po’ più datati come “It’s Cold Out Here”, “Re-Do” e “Tears Over Beers” si fanno valere. Il degenero però si verifica con la combo “The Weekend” e “Your Graduation” e possiamo ritenerci fortunate ad essere qui per raccontarvelo.

Come avrete già capito l’Atticus Stage è stato il nostro posto preferito quest’anno, infatti non ci muoviamo da lì e aspettiamo il momento dei Save Your Breath.

Il loro set inizia con canzoni più datate come “X RY X Almost Died at a Foam Party” e “ Holy Shit, Fortune Teller, Miracle Fish” per poi proseguire alternando pezzi da tutti i loro lavori come “Whole”, “Not in the Mood for Kiwi” e “Horrow Road”. Riunione tra amici in occasione di “Stay Young” sulla quale i Save Your Breath sono raggiunti sul palco da Sean Smith dei The Blackout. Per chiudere ovviamente c’è “Nothing Worth Having Comes Easy”, un set buono ma non ottimo, la band non ha suonato male ma non è nemmeno riuscita ad entusiasmarci come ci aspettavamo.

a loss for wordsI cinque minuti di pausa prevista vengono spesi tutti correndo per le scale per riuscire ad arrivare in tempo al Cheer Up Stage sul quale a momenti sarebbero saliti i Natives.

Primo problema: la stanza è troppo piccola e i Natives sono troppo bravi quindi troppe persone vogliono vederli e si fatica ad entrare, ma per i Natives rischiamo anche la vita.

I Natives salgono sul palco e tutto è da subito bellissimo, suonano “Big Plans”, “Can’t Say No”, “Stand for Something”, “The Horizon”, sulla quale appaiono sul palco un sacco di tamburi e tutti li suonano e tutto è bello, “Ghost” e ad un certo punto c’è anche stato del pogo, davvero tutto bellissimo. Arriva il momento dell’estate con “This Island” e poi il set si chiude troppo presto con “For Everything”. Come avrete capito i Natives sono stati impeccabili e non vediamo l’ora di vederli di nuovo.

Salgono poi sul palco gli A Loss for Words, che sono riusciti a colpire anche noi che li vedevamo per la prima volta e non eravamo poi così troppo ferrate. Il loro set ha quella marcia in più e il loro rapporto con il pubblico è pura energia; aprendo con “Hold Your Breath” e con canzoni come “Raining Excuses” e “Pirouette” tengono alta l’atmosfera e sfoderando la cover dei Jackson 5 “I Want You Back” segnano il punto vincente – anche se la mancanza delle barbe aleggiava in tutto l’edificio.

we the kingsAvendo 25 minuti di pausa, ovviamente non pensiamo a riposarci o rifocillarci o qualsiasi cosa serva per la sopravvivenza, ma andiamo in giro per i palchi per vedere più band possibili.

Ecco che ci ritroviamo al Main Stage e riusciamo a vedere più di metà dell’esibizione dei We the Kings.

Riusciamo a beccare i classiconi “We’ll Be a Dream” e “Secret Valentine”, ma anche pezzi più recenti come “I Feel Alive” e “Just Keep Breathing”, che live sono infinitamente migliori che registrati.

Appena ci balena per la testa il pensiero di spostarci il re dei ginger e i suoi amichetti iniziano a suonare la cover di The Middle, e su The Middle non ci si può spostare. Per il poco che abbiamo visto la band ha suonato molto bene e non ha deluso.

State ChampsDopo un breve cambio palco ecco che è il turno degli State Champs, una delle band must-see quando si tratta di pop-punk.

Il loro set, breve ma intenso, vede protagonista quasi tutto “The Finer Things”, iniziando con “Deadly Conversation” e continuando con “Nothing’s Wrong”. Il pubblico si scalda rendendo la loro esibizione quella con più partecipazione, un tripudio di sing along, insomma. Il set continua con “Hard to Please” fino a giungere alla conclusione con “Elevated”. Applausoni per loro.

Pensavo fosse destino di non riuscire a vedere i Motion City Soundtrack e invece eccoli salire sul Main Stage.

Motion City soundtrackCorrendo da un palco all’altro mi perdo la prima canzone “Better Open the Door” ma non mi preoccupo, dato che quelle che mi attendono sono 11 canzoni tra le più conosciute della band.

Il bagaglio da cui estrarre è enorme ma i cinque di Minneapolis decidono di proporre una scaletta veloce e ritmata.

Starei qui a parlarvi della loro esibizione per ore ma accontentatevi di sapere che hanno fatto “When You’re Around”, “The Future Freaks Me Out”, “Broken Heart”, “L.G. FUAD”, “Last Night”, “My Favorite Accident”, “Everything Is Alright”. Giudicate da soli.

Torniamo al nostro amato Atticus Stage con il chiaro obiettivo di risollevare il pop punk per Neck Deep e Real Friends.

I Neck Deep iniziano il loro show con “Losing Teeth”, seguita subito da “What Did You Expect?”, obbligo citarla perché urlare “well what did you expect? A fucking compliment?” è bellissimo. Canzoni vecchie e nuove per tutti i gusti come “Tables Turned”, “Silver Lining”, “All Hype No Heart”. Momento migliore ovviamente è “A Part of Me”, in cui il pubblico canta all’unisono parola per parola, tutto bellissimo, insomma. I Neck Deep hanno spaccato tutto, bravi.

Real FriendsI feels non potevano mancare e arrivano a vagonate con i Real Friends che ci regalano il meglio di loro con “Floorboards”, “Skin Deep”, “Lost Boy”, “Anchor Down”, “Loose Ends”, “Dirty Water”, “Home for Fall”.

Tra un sleepy eyes and bony knees e l’altro, una battuta e due risate arriva “I’ve Given Up on You” durante la quale i feels diventano insostenibili e qualche lacrima scappa, seguita da “Alexander Supertramp” e il tutto finisce con “Late Nights in My Car”.

Aspettative non deluse, pop punk a valanga, sleepy eyes and bony knees sempre.

atarisRiscopriamo il Macbeth Stage che avevamo tanto amato l’anno scorso grazie ai nostri prefe, cioè gli Ataris, o meglio Kris Roe accompagnato dagli amichetti Cancer.

Si parte subito esagerando con le super-hit “In This Diary” e “So Long, Astoria”. La maggior parte del set è dedicata a pezzi da So Long, Astoria, come “Takeoffs and Landings”, “Unopened Letter to the World”, “The Boys of Summer” e “The Hero Dies in This One”. Ritorno al passato alla fine con “San Dimas High School Football Rules” e “Your Boyfriend Sucks”.

Kris rimane sul palco per suonare qualche altra canzone in acustico, ma noi dobbiamo abbandonarlo perché altre band ci chiamano. L’esibizione è stata ottima nonostante la line-up un po’ improvvisata.

Ora qui la scelta è stata un po’ per tutti difficile; su tre palchi diversi si esibiscono all’unisono Hit the Lights, letlive. e The Red Jumpsuit Apparatus ma loro li ascoltavamo nel 2006, non potevamo che scegliere l’easycore degli Hit the Lights.

Hit The LightsSappiamo tutti benissimo – e se non lo sapevate dovete pagare con la vita – che quest’anno la band ha deciso di portare in tour solo ed esclusivamente il loro secondo album Skip School, Start Fights.

Per quanto sia bello e tutto, sappiamo anche benissimo che le mie canzoni preferite delle band sono quelle meno famose quindi il terrore che non proponessero brani tratti dal loro primo lavoro “This Is a Stickup… Don’t Make It a Murder” si era ormai affiancato alla rassegnazione.
E invece no! “Breathe In”, “Stay Out”, “Drop the Girl” (con la partecipazione di Matt Arsenault, voce degli A Loss for Words), “Hangs Em High”, “Cry Your Eyes Out” fanno spazio alle più vecchie “Three Oh Nine”, “Save Your Breath”, “Speakers Blown” per poi concludere con la mitica “Bodybag”, il tutto condito da una buona dose di crowdsurfing, lividi e tanta tanta felicità.

È ormai sera ed è tempo degli headliner, noi scegliamo The All-American Rejects (Main stage) e Kids in Glass Houses (a uno dei loro ultimi show prima dello hiatus definitivo).

Nonostante la setlist bella come al solito con alcuni dei brani più famosi tratti dal loro repertorio come “Dirty Little Secret”, “Swing, Swing”, “Move Along” e “Gives You Hell”, sembra mancare qualcosa a Tyson e soci. Forse un po’ troppe chiaccchiere sul palco e meno impegno per quanto riguarda la parte strumentale, anche se con i lentoni del calibro di “It Ends Tonight” e “Mona Lisa” riescono a salvarsi in corner.

Ci sembrava giusto vedere per l’ultima volta i Kids in Glass Houses, quindi scappiamo all’Atticus Stage e arriviamo in tempo per l’encore, le ultime tre canzoni dopo aver suonato tutto Smart Casual. Le tre canzoni in questione sono “Youngblood (Let It Out)”, “Sunshine” e “Matters At All”. Nella sala si respira odore di lacrime, emozioni e disperazione per la perdita di una band valida come loro.

Ci vediamo l’anno prossimo!

The All American Rejects

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